Quando il Natale era caratterizzato da un tempo più lento, confrontato con un oggi più frenetico, dispersivo e impersonale.
La casa cambiava aspetto a Natale con la costruzione di albero e presepe e di varie lucine alle finestre. Il sentimento dell’attesa, curato liturgicamente dalla chiesa con il periodo d’avvento, introduceva ai giorni festivi, in cui non si andava a scuola. Si, c’erano i compiti delle vacanze, ma occorreva gestire la giornata libera incontrando amici e giocando a tombola o a carte con i parenti. Particolare era la gioia quando si vinceva qualche spicciolo al gioco. L’attesa era forte anche per questi incontri, piccole festicciole, occasione per mangiare i dolci caratteristici, fare il presepe, organizzare i pranzi dando un minimo contributo fosse solo per mettere i segnaposto a tavola, avere il piacere di fermarsi per strada a fare gli auguri. Il freddo e il buio favorivano lo stare in casa a giocare in modo semplice, si ammiravano i lavoretti fatti a scuola, accompagnati dagli appositi biglietti con la polvere luccicante, si rileggevano le lettere a Gesù Bambino, si giocava con i doni ricevuti, si leggevano i libri, o si provavano i vestiti della festa. Con l’arrivo del nuovo anno, poi, ci si doveva ricordare di cambiare la data sul quaderno e si completavano i calendari fatti a mano.
Attesa di persone, più che di doni, e se di doni (il cui primo dono in quel tempo era proprio l’attesa), per il gusto di condividerli. Attesa della neve per sperimentarle la novità e dare un clima più natalizio che ricordava la notte del Bambino, infreddolito e riscaldato dal bue e dall’asinello. Attesa di dolci che non avresti mai mangiato durante l’anno, preparati da amorevoli mani con ricette che si tramandavano di madre in figlia. Attesa di compagnia attorno al braciere (dove ancora c’era). Attesa della processione della natività che in ogni casa si festeggiava con corteggio di nonni (pure in sedia a rotelle), di zii, di cugini, di bambini. Il più piccolo davanti col Bambinello, e a seguire tutti gli altri con candele e stelle filanti, per tutta la casa, come una benedizione per i luoghi, per giungere infine al presepe, dove adagiare il Bimbo e cantare canzoni natalizie. E poi a messa e a tavola. Il calore del vino dava allegria e simpatia. Si scartavano i regali, semplici, utili, in qualche modo “pilotati”.
Nella memoria dei più anziani vi era il Natale con i mandarini e i fichi secchi posti sotto l’albero. Ma prima di poterli assaggiare vi era la recita della poesia di Natale (altra grande tradizione e classico della scuola) magari in piedi sulla sedia per meglio farsi ascoltare da tutta la famiglia.
Oggi la comunicazione on line la fa da padrona soprattutto a Natale.
Sui social pupazzetti animati augurano buone feste, bottiglie di spumante saltano in diretta con cascata di coriandoli e immancabile augurio fosforescente di buon anno (si spera altrettanto luminoso), e immancabilmente intasano la casella di posta.
I messaggi su Whatsapp si sprecano con le loro frasi impersonali, stereotipate, standard, persino senza firma così se non hai il numero in rubrica ti tocca arrovellare il cervello per capire chi è il genio che ha inviato quell’augurio banale, ma pur degno di un altrettanto freddo riscontro.
Su Facebook e Instagram si condividono pagine di auguri, magari ammiccanti, ma terribilmente monotoni. Insomma gli attuali auguri elettronici sono pratici, economici ed immediati. Il rischio è quello di una “comunicazione senza comunicare”.
Talvolta si ha la nostalgia degli auguri personali tradizionali che si sostanziavano con un incontro, una visita e un bell’abbraccio. Oppure, nei casi di distanze significative, con una lettera manoscritta che recava in sé la grafia del mittente e il segno tangibile che era stato dedicato qualche minuto a quella persona per creare un augurio originale e davvero cordiale. Un modo più caldo e meno convenzionale per dire “Buon Natale, ti penso, ti sono vicino, tanti auguri”. Un modo efficace per dimostrare vera amicizia o per verificarne la tenuta.
Facciamo un passo indietro con la tecnologia e (ri)affidiamoci a qualche strumento ora meno usuale ma più legato al senso della tradizione e alla nostalgia degli antichi Natali. Alla magia di un click sostituiamo la gioia di un abbraccio. Anche così il Natale sarà più caldo, più denso di attesa (“mi risponderà?”) e di aspettative.
E tornerà la magia di chi nella fanciullezza ha atteso l’arrivo della buona nonnina dal camino, con la sua sporta di doni, sperando e credendoci.
E nel cuore tornerà la felicità, quella che non si può sostituire con i beni di consumo e gli strumenti tecnologici di ultima generazione sempre più ridotti nelle dimensioni, come più ridotto è il presepe che non ha spazi e tempi di preparazione nelle case moderne.
Luci e colori accecano la mente ma non riscaldano il cuore, come quelle attenzioni che danno la cifra dell’amore di chi ti è accanto, familiare e amico.
E, per non farsi abbagliare dall’effimero, occorre tornare a vedere il Natale con lo sguardo incantato dei bambini di quelle generazioni.