Nei ricordi del Natale del passato l’autore ritrova la nostalgia dell’infanzia e di uno spirito che riempiva di magia i giorni della festa.
Per chi festeggiava san Nicola, l’anticipo del Natale era dato dalla sua festa il 6 dicembre, giorno in cui il santo consegnava i doni ai bambini. Ma già da ottobre – con l’addentrarsi nel periodo scolastico, l’autunno e l’accorciarsi delle giornate, il calore della casa, dove si trascorreva più tempo, e la compagnia dei familiari – si iniziava a pregustare il Natale. Così la festività dei defunti (oggi c’è la moda di Halloween, ma all’epoca non si sapeva neppure cosa fosse) con la vacanza scolastica adoperata per la visita al cimitero, predisponeva ufficialmente all’attesa del Natale. Già in quei giorni si iniziava a pensare al presepe, che poi sarebbe stato messo in opera durante la festa dell’Immacolata, a scrivere la letterina a Gesù Bambino, e anche all’acquisto di stelle filanti, “fischietti” (piccole miccette rumorose quasi innocue), i più spericolati “raudi” e razzi da far scoppiare (in sicurezza) nei vicoli o nei giardinetti dove ci si riuniva a giocare con gli amici di scuola o di quartiere.
Il contesto di attesa e socialità familiare conduceva alla festa, alla novena, alla Notte Santa, al pranzo natalizio, agli auguri con i parenti. Gli stessi regali, per lo più utili, facevano parte dell’attesa. A noi bambini erano molto graditi i cioccolatini che venivano anche usati per addobbare l’albero di Natale e pure il presepe, diventando elementi decorativi che poi pian piano sparivano man mano che le vacanze volgevano al termine. Ma si capiva che il Natale non era solo quello. In quegli anni non vi era l’assillo di stabilire calendari di pranzi e veglioni a turno con i parenti, o di pensare ai regali che dovevano in qualche modo essere fatti per contraccambio, per amicizia, per usanza, per i cugini più piccoli: tutto era pianificato e gestito con serenità.
Lo scambio degli auguri diventava ricordo per chi era lontano e si traduceva nello scrivere cartoline (che venivano utilizzate più del telefono), e questo adempimento era una gioia così che le cartoline erano pensate, scelte per tempo nei loro scenari invernali, colorate con creatività.
Anche a scuola si iniziavano a preparare “lavoretti” a seconda delle diverse attitudini maschili e femminili: uncinetto, decorazioni, ecc., per realizzare in collaborazione oggetti per la casa che avrebbero fatti contenti i genitori. I giornalini pubblicati in quelle settimane favorivano la creatività e la manualità suggerendo di costruire tombole, gioco dell’oca, calendari, trenini augurali.
Era bello camminare per strada anche quando era più freddo e il clima cittadino cambiava: diventava buio presto e decorazioni, festoni, luci e babbi natale dei negozi rifulgevano di più e incentivavano a comprare qualche personaggio del presepe, le cartoline per parenti e amici, i segnaposto del pranzo natalizio.
Le vacanze erano scandite da Natale e Santo Stefano, San Silvestro e Capodanno, e a chiudere l’Epifania: erano caratterizzate dall’assenza della scuola, si coltivavano i rapporti familiari e amicali, magari si coglieva l’occasione per visite e adempimenti amministrativi che negli altri giorni non era possibile svolgere. E poi tutti in casa al caldo a giocare a carte e a tombola. Il rapporto con i cugini diventava più forte in questi giorni. Tutti avevano qualche parente nei paesi vicini e si andava a fare visita cogliendo l’occasione per ammirare gli addobbi di quel paese.
Nel giorno dell’Immacolata si faceva il presepe, magari chiamando gli amici per un aiuto “tecnico” nel posizionare ponti, strade, laghetti, illuminazioni di corti e casolari, oltre ovviamente la grotta, centro e cuore di tutto lo scenario. Man mano che si diventava più grandi, cresceva anche l’abilità manuale e il presepe si arricchiva di marchingegni più sofisticati, si creavano i giochi di luci, gli zampilli di acqua, le montagne crescevano e la prospettiva aumentava, i ponti diventavano più impervi ma sempre solidi, i re magi aumentavano la distanza che poi pian piano diminuiva in vista dell’Epifania. Era il segno che Gesù nasceva nella casa, nella famiglia, nella nostra quotidianità.
In quei giorni si iniziava la preparazione dei classici dolci natalizi, con il vincotto, il miele, la pasta di mandorle, e più ancora l’amore di chi li produceva. Avrebbero poi allietato la conclusione del pranzo di Natale e le visite dei parenti o avrebbero costituito un pensiero per qualche povero di passaggio o parente solo. Il panettone si mangiava esclusivamente il giorno di Natale, magari ricevuto in regalo e non acquistato appositamente. Il Natale non era così consumistico. O almeno così lo percepivo all’epoca: tanto calore, tanta attesa, tanta meraviglia.
L’attesa e la preparazione riguardava anche i canti, le recite a scuola o in parrocchia, la novena che veniva curata con attenzione e diligenza. Proprio durante la novena si girava per il quartiere, ben coperti, cantando la “Santa Allegrezza” con tanto di strumenti musicali e belle voci per far sentire dappertutto l’aria di festa, che si completava in convivialità quando qualche mamma offriva i dolci caserecci ai concertisti.
Oggi si è persa quella magia – che poi era meraviglia -, non penso solo a causa dell’età ma anche perché è venuta meno la sacralità dell’evento, la semplicità, il gusto dell’attesa che lo caratterizzava. Predomina più l’obbligo delle vacanze in luoghi esotici e dei regali di circostanza. I ristoranti hanno preso il posto della sala da pranzo di casa, con le lunghe tavolate e le tante ore lì trascorse, passando dal dessert al gioco comunitario. La bontà era un auspicio per tutto l’anno e non una circostanza limitata nel tempo. Il Natale era povero, come lo era stata la Nascita, povero ma gioioso, povero ma non misero. Povero nel senso che i regali o i cibi più prelibati erano in qualche modo “guadagnati” e meritati. E questo creava sentimento, emozione, fascino. Insieme a quella nota di tristezza, retaggio ottocentesco, che collegava il Natale alla povertà e alla solitudine e si sostanziava in film come Il Piccolo Lord, o in canzoni come Caro Gesù Bambino: “lo sai che il babbo è povero e io non ho giocattoli, sono un bambino buono come lo fosti Tu….”.