Nelle dinamiche politiche e sociali individualismo e protagonismo ledono l’armonia delle relazioni.
Paradossalmente si potrebbe dire che l’invidia e la suscettibilità delle persone consentono al mondo di avere ogni tanto cambiamenti imprevisti oltre gli schemi della logica, del “si è sempre fatto così”, dell’ineluttabile. Così magari si dà spazio al nuovo e a logiche altre, che in condizioni normali non si sarebbero affermate.
Mi spiego. Tante situazioni personali, politiche, comunitarie, aziendali sembra che abbiano già definito il loro percorso e scritto la loro storia. Poi interviene qualcosa che cambia quel percorso o quel sistema, qualcosa di ascrivibile all’umana imprevedibile natura che va a minare equilibri consolidati.
Tanto per fare un esempio: nei 5Stelle sembrava definita una leadership e invece la mancanza di vedute comuni tra i big stava portando a una scissione del movimento. Nulla di nuovo sotto il sole: dopo il tramonto dei grandi partiti storici, i nuovi partiti e movimenti hanno cambiato non solo il nome e i leader ma sono diventati il frutto di un big bang di gruppuscoli che continuano a dividersi. Tutti hanno pretese e, se non sono assecondate in pieno, fondano un ulteriore partito. Siamo passati dalle antiche correnti, che non erano tanto divisive quanto identificative con un leader, a vere e proprie scissioni, con relativi strascichi giudiziari e sconcerti della base (ammesso che la base ci sia, si dedichi a seguire questi balletti o a parteggiare per qualcuno).
E ancora: il noto fondatore di una comunità monastica – senza entrare nel merito delle ragioni – è stato allontanato dalla sua creatura perché ingombrante per la nuova “governance” (non è il termine tecnico per un convento ma dà l’idea).
Ripicche nella quotidianità del lavoro nell’azienda o nella scuola o negli studi professionali risentono molto della conflittualità che si crea, mediamente motivata dalle richieste di chi crea problemi, divisioni, inefficienze. L’impressione è che chi crea problemi goda di maggiore attenzione in alto loco, chi fa il proprio dovere con lealtà e correttezza sia “tamburo da suonare”.
Cordate di potere possono far saltare nomine, sfaldare alleanze che magari poco dopo si ricompongono: chi era nemico (e volutamente non ho detto avversario) di qualcuno, poi si ritrova a “brigare” sulla stessa barca.
Il problema è che oggi ognuno vuole dire la sua e imporre la propria idea. Come scriveva Massimo Gramellini nel “Caffè” del Corriere del 23 giugno 2021: “Se durante il Rinascimento si cercava l’universale in ogni individuo, nella nuova fase storica del Rincrescimento ogni sensibilità individuale si arroga il diritto di porre il veto sull’universo intero”. E ancora il 20 ottobre 2021: “Chiamano dittatura il rispetto delle regole che non condividono. E si sentono autorizzati a compiere soprusi in nome dell’unica libertà che riconoscono: quella di fare come gli pare”.
Il pensiero del singolo (o di una minoranza) diventa un assoluto, e se non viene fatta la sua volontà (a scapito della maggioranza) scattano rappresaglie, dispetti, improperi, insolenze. La volontà del singolo (anche fuori degli schemi) è dominante sulla sensibilità comune: ad esempio, se uno non vuole vaccinarsi, tutti non devono vaccinarsi. Il rispetto della diversità, ideologica e non, viene inteso come subordinazione di tutti alle logiche dei tanti. In nome di una fuorviante libertà di pensiero a senso unico.
Non solo vige la legge del singolo ma a maggior ragione non c’è più alcun rispetto per le regole, per la disciplina di gruppo, c’è una insofferenza che diventa cafonaggine
Oggi nelle relazioni e nel comune sentire emergono individualismo, protagonismo, scarso senso della disciplina e del rispetto delle altrui opinioni, disinteresse per il bene comune. La contestazione è diventata uno stile di vita, la divisione un modo di rendersi visibili, con tutto il corteggio di invidie, maldicenze, pettegolezzi per arrivare al proprio fine: l’io come assoluto.