Qualche considerazione sui social che ormai fanno parte integrante della nostra quotidianità e della comunicazione anche spicciola.
E’ bastato che per qualche ora Facebook, Instagram e Whatsapp non rispondessero ai comandi e si è temuto il peggio: prima si è pensato che fossero finiti i giga o si fosse bloccato il wifi, poi che il virus pandemico si fosse esteso ad internet (ma ci rassicurava il fatto che Google funzionasse). Di fatto era venuto meno il modo di comunicare in modalità social con il mondo intero (per fortuna il telefono tradizionale funzionava e per l’occasione siamo pure tornati agli sms) e di comunicare il nostro essere tramite la costante visibilizzazione virtuale (nel caso qualcuno si preoccupasse di non vedere nostre foto per qualche ora).
Dopo una serata di panico (ma il grande Internet ci ha subito informato trattarsi di un fenomeno generale in via di soluzione) e di mancato riempimento del tempo libero scrivendo, postando, tampinando, siamo tornati alla nostra attualità 2.0 e agli stili consolidati.
Ma questo episodio ci ha dato l’opportunità di farci qualche domanda.
E’ possibile vivere oggi senza social, fosse pure per un tempo limitato?
Nello sperimentare che con la tecnologia non ci sono certezze (come anche la vita ci ha abituati) perché lo strumento consolidato può venire meno … quando meno ce lo aspettiamo, ci siamo resi conto dell’utilità di questi mezzi.
E non mi riferisco solo all’aspetto di intrattenimento o di divertimento, ma proprio a quello della comunicazione, una comunicazione rapida, consuetudinaria, non invasiva, a 360gradi. Anche per dire “butta la pasta” lo si dice tramite Whatsapp.
Il blakout del 4 ottobre ha interrotto le comunicazioni di milioni di persone nel mondo.
Non ci siamo scoperti migliori, distaccati dallo strumento, ma ci siamo resi conto di quanto sia importante oggi la convivenza con i social, per qualsiasi tipo di comunicazione.
Ammettiamolo: fanno parte della nostra vita, non si può farne a meno.
Li si può disattivare durante impegni importanti, ma perché lo decidiamo noi (e lo programmiamo in momenti in cui mediamente sappiamo che non dobbiamo ricevere o inviare comunicazioni necessarie), ma se decidono loro quando lasciarci, andiamo in crisi.
Se all’inizio si era un po’ prevenuti, magari anche a giusta ragione, verso i social, il loro uso ordinario e le abitudini che ci hanno indotto, hanno fatto capire – ora ancora meglio – che attraverso i social oggi passa anche la socialità reale, dentro i social ci sono le nostre vite, gli affetti, i rapporti di lavoro, il desiderio di andare verso l’altro.
Sono parte integrante della nostra vita, oserei dire come l’aria che respiriamo.
Resta sempre valida l’idea di considerarli bene, di utilizzare le loro potenzialità, di non esasperare le loro deviazioni negative.
E’ il caso di dire che un giorno senza Facebook non è un giorno come tutti gli altri, e può essere un giorno più povero: di rapporti, di relazioni, di notizie, di informazioni, magari anche di pettegolezzi.
Se è vero, come ha scritto Massimo Gramellini, che “I social servono a mappare il pensiero umano, che sragiona allo stesso modo da millenni, ma mai prima d’ora aveva lasciato tracce scritte così minuziose dei suoi movimenti” (Il Caffè del “Corriere della Sera” del 6.10.2021), diventa per noi una sfida quella di utilizzarli al meglio per non lasciare tracce di stupidità che non saranno solo una idiozia passeggera, ma resteranno nel tempo.
E’ il caso di non sprecare una buona occasione che oggi la modernità ci offre, blackout permettendo.