Una sintesi della vita e delle opere dello sculture melegnanese Vitaliano Marchini a cura del ricercatore e studioso dell’arte Mirko Agliardi.
A distanza di cinquant’anni esatti dalla sua morte, avvenuta nel 1971, Marchini è per la città di Melegnano e per l’arte lombarda del XX secolo un punto di riferimento imprescindibile da cui poter spaziare attraverso figure come Martini, Marini e lo stesso Wildt; per questo le iniziative promosse dall’A.C. Melegnano Assessorato alla Cultura, sono l’ideale prosecuzione di una continua riscoperta della figura dello scultore, ancora oggi un po’ defilata nel panorama artistico locale e nazionale.
Nasce a Melegnano per poi diventare milanese d’adozione; incantato dal Monumento alle Cinque giornate di Giuseppe Grandi approda alla scultura diventando garzone di bottega, poi, a soli 18 anni, comincia la frequentazione dello studio di Luigi Panzeri, avendo come riferimento la scultura tardo impressionista e scapigliata milanese. Dopo un periodo di apprendistato, tutto sommato breve, trova spazio nell’ambiente artistico meneghino partecipando a mostre sindacali provinciali e nazionali. Spiccano tra queste: nel 1906 l’esposizione alla Permanente di Milano. Con Prime fatiche, nel 1910 vince il Premio Tantardini all’Esposizione Nazionale di Brera mentre nel 1912, sempre a Brera, il Premio Fumagalli con l’opera Piccola Madre. Nel 1914 partecipa alla XI Biennale di Venezia con Prova d’artista.
Il periodo della Prima Guerra Mondiale, uno dei meno floridi sotto l’aspetto concreto anche a causa del reclutamento nel VII° reggimento fanteria e poi tra gli alpini, lo priva delle energie necessarie alla sua personale ricerca artistica; riesce comunque a produrre nel 1917 il gruppo bronzeo La cieca, nel quale una giovane cantante cieca e la suonatrice d’organetto che l’accompagna formano un insieme in cui l’accento patetico, il linearismo delle figure, la levigatezza delle superfici, rivelano la temperie ancora simbolista.
Nel 1920 espone ancora alla XII Biennale veneziana con Bimbo malato. È del 1921 il matrimonio e l’incarico come insegnante di figura modellata presso il liceo artistico dell’Accademia di Brera. Il 1922 segna finalmente la consacrazione con la mostra personale presso la Galleria Pesaro, insieme ai pittori Ugo Bernasconi, Raoul Viviani e con la presentazione del grande Adolfo Wildt (1868-1931); 36 opere tra marmi e bronzi, tra le quali il citato La cieca e la statua in marmo Primi turbamenti (oggi nella collezione privata Sgarbi), Quest’ultima mostra un linguaggio più classicheggiante nell’acerbo corpo nudo della giovinetta che richiama il tema di Leda con il cigno.
Alcune opere testimoniano invece l’influenza di Wild, come il busto in marmo di Cristo, le cui costole esageratamente evidenziate e il capo incappucciato nel sudario assumono valenze espressionistiche, o come l’Autoritratto, levigata e geometrizzante maschera marmorea. Accanto ai temi religiosi, che saranno predominanti nella sua opera matura, anche i ritratti dell’umile mondo contadino e operaio, come nella Seminatrice. Anni di lavoro intensissimo e di relativa affermazione: dal 1925 all’Esposizione nazionale di Brera, alla I° Mostra del Novecento Italiano del 1926, mentre viene confermato come insegnante di scultura all’Accademia di Brera, diventando inoltre direttore della Scuola Superiore degli Artefici.
Venezia per la XVI Biennale e Roma per la I° Quadriennale, per culminare con la sala individuale nella XVIII Biennale di Venezia del 1932, nella quale furono presentate 16 sue opere. Mentre le commissioni si moltiplicano a dismisura raggiunge la piena maturità, dove svilupperà fortemente un linguaggio asciutto teso ad un linearismo geometrico tipico del movimento milanese de il Novecento, voluto e creato dalla critica Margherita Sarfatti, e guarderà anche ad Arturo Martini e a Marino Marini per l’impostazione delle sculture. Grazie a queste frequentazioni avrà modo di innalzare l’arte della sua provincia e di uscire verso i confini nazionali nobilitando le sue creazioni di sentimenti dotati di poesia, ponendo l’accento sull’aspetto sociale, politico, alla storia, ricreando una visione simbolica e spiritualistica dell’idea partoriente del fare artistico. La sua opera si caratterizzerà per una forte propensione al tema sacro, sono del periodo le statue presenti nel Duomo di Milano raffiguranti San Bernardo (1938) e l’Arcangelo Gabriele (1940).
Questi aspetti li possiamo ritrovare presso il Cimitero Monumentale di Milano in cui incontriamo sculture prevalentemente di soggetto sacro, come nel caso degli innumerevoli “Crocefissi” presenti su tombe e monumenti privati, dove la figura del Cristo geometrizzata e semplificata ripercorrere vie parallele ad una sorta di wildtismo nella resa dell’esecuzione finale.
Lasciato nel 1959 l’insegnamento a Brera si ritirò a Mergozzo (VB), dove era già “sfollato” nel 1943, quando aveva perso la casa durante i bombardamenti di Milano. Stese bozze di un diario e continuava a scolpire, lui direttore della Scuola degli ornanisti del Duomo di Milano, direttamente dal legno. Mentre altre opere in cotto quali il Battesimo di Cristo nel 1960 andava ad ornare il portale d’ingresso della Basilica Minore di S. Giovanni B. a Melegnano. Così come realizzò, in marmo rosa e in granito, una Cappella, dedicata alla Madonna del viandante, sulla strada Mergozzo-Fondo Toce. Del 1966 invece la grande statua di San Gaudenzio, in granito bianco del Montorfano (frazione di Mergozzo), collocata su una parete della stessa cava. Ormai Ammalato fece ritorno a Melegnano, dove morì il 29 luglio 1971.
Mirko Agliardi (Studioso dell’Arte)