Quando rispondere a mail, whatsapp e telefonate rappresenta un modo di essere e di porsi, impostato al rispetto dell’altro ma, prima ancora, della propria umanità.
Se proprio dobbiamo fare una divisione di genere, possiamo dire che al mondo esistono due tipi di persone: quelli che rispondono e quelli che non rispondono.
Si ricevono ogni giorno tante richieste personali tramite mail, Whatsapp, Messenger, telefonate (anticipate o meno da un messaggio), talvolta anche tramite lettere cartacee e raccomandate.
C’è chi risponde e chi no.
Dipende da come si è e come si intende la vita e il rapporto con gli altri.
C’è chi non risponde solo perché è sciatto e smemorato (e in ogni caso non ha rispetto per gli altri).
Chi non risponde perché non ritiene degno l’interlocutore (o l’intera umanità) della sua risposta.
Chi non risponde perché non ha risposte. In questo caso si può dire che la non risposta equivale a risposta, ma si tratta di una delicatezza che solo gli intelligenti (e non arroganti) possono capire.
Chi non risponde si dimostra insensibile al lavoro, ai tempi, alle necessità dell’interlocutore, che possono essere sacrosante, e spesso in questo viene meno anche ai doveri di diligenza professionale e a precisi compiti, oltre che a quelli dell’educazione e del rispetto.
Per contro ci sono coloro che chiedono, chiedono sempre, a prescindere, tanto sanno che ad andare male non si perde nulla, ma può andare anche bene e allora perché condannarsi da subito a perdere un’occasione?
Si chiede anche se non ci si relaziona da trent’anni (e i social ci dicono che oggi gli strumenti per mantenere rapporti costanti ci sono, solo se non si vuole non si mantengono), si chiede sempre, per qualsiasi cosa, senza porsi problemi o dubbi di inopportunità, si chiede solo per il gusto di chiedere, anche se non è cosa importante, si chiede perché si è arroganti o approfittatori dato che ci si ricorda dell’interlocutore solo nel momento del bisogno, presentandosi magari anche come un po’ “addormentati” per non farsi scoprire. Non ci si fa scrupolo: cortesie, informazioni, sistemazioni per la vita, cose spicciole, magari pure la luna.
Di contro ci sono quelli che rispondono sempre e comunque, anche di notte, anche quando l’interlocutore merita di essere mandato a quel paese. Si risponde con sacrificio e togliendo tempo a sé stessi, in modo appropriato e documentato (che richiede studio, ricerche e pure … l’andare “col cappello in mano” a chiedere per gli altri). E chi lo fa, non chiede mai per sé stesso e non chiede nulla in cambio.
Quelli che rispondono sono quelli buoni, attenti, rispettosi dell’altro (al di là che sia un amico di vecchia data, un conoscente, uno incontrato per caso in ascensore). E sono quelli che – se non c’è nulla da chiedere – passano inosservati.
Il rispondere (e possibilmente celermente) diventa una modalità di relazione che qualifica la persona, ne rivela il carattere, la individua come precisa e affidabile. Ma non ricordiamocene solo quando occorre qualcosa e non facciamola innervosire, altrimenti si rischia di perderla o di demotivarla. E ciò non è giusto. Nel nome della nostra umanità.