Una attenta disanima geopolitica del Gen. Roberto Bernardini sul “rientro” degli USA nell’ “Accordo di Parigi sul clima”, e sulle concrete possibilità di incidenza dell’ultimo “Vertice sul clima” di fine aprile scorso sul problema dell’inquinamento del pianeta.
Uno dei primi passi compiuti da Biden è stato il “rientro” degli Sati Uniti nell’”Accordo di Parigi sul clima” dal quale Trump era rumorosamente uscito il 4 novembre 2020. L’Accordo era sopravvissuto grazie all’Unione Europea (UE) che era riuscita a mantenere la Cina e la Russia al tavolo dei negoziati.
Ed allora, archiviata la parentesi anti-clima, gli USA tornano ad assumere la leadership nella lotta ai cambiamenti climatici in atto.
Il successivo “Vertice sul clima” aperto ai “grandi del pianeta”, convocato a fine aprile dagli Stati Uniti per la “Giornata mondiale della Terra”, ha rappresentato un “volta pagina” spettacolare della presidenza americana, almeno tanto quanto lo era stato l’abbandono dell’Accordo. Soprattutto è stato il palcoscenico perfetto per il ritorno dell’America in posizione preminente rispetto a tutti gli altri Paesi aderenti: erano presenti quaranta leader internazionali virtualmente riuniti per fare il punto sulla sfida più impegnativa del secolo, quella per la protezione dell’ambiente. “Dobbiamo agire adesso. È un imperativo morale ed economico” ha sottolineato il presidente Joe Biden evidenziando anche le “straordinarie opportunità economiche” della transizione ecologica”.
Il Vertice ha prodotto grandi risultati? Direi di no e diversamente non poteva essere ma tutti, chi più chi meno, hanno promesso qualcosa con impegni e modalità molto diversificate. Ed è già un significativo risultato perché in questo periodo di pesanti contraddizioni politiche e di guerre economiche la presenza di Putin e di Xi Jinping non poteva essere data per scontata.
Ma si è finalmente tornati al confronto e al dialogo e questo è fondamentale anche per smentire la piccola attivista Greta che, telecomandata, si è fatta polemicamente sentire con affermazioni del tipo “…non ci si può accontentare di qualcosa solo perché è meglio di niente”.
Una ripartenza dunque che sotto il profilo geopolitico ha però una grande importanza e un preciso significato.
Il clima non può aspettare ed almeno sul clima Washington e Pechino si confrontano. Certo la road map della Cina è impressionante: i cinesi prevedono di raggiungere il massimo delle emissioni nel 2030 per poi azzerarle del tutto non prima del 2060. E non ci saranno ripensamenti perché il loro programma strategico di sviluppo non ammette ritardi. Nel 2035 prevedono il pareggio con gli USA sulle nuove tecnologie e nel 2050 il sorpasso. Un simile programma industriale ed economico non può essere limitato dalle nefaste influenze che produce sull’ambiente e sul clima.
Il tutto con buona pace di Biden che ha promesso di dimezzare le emissioni americane entro il 2030.
E l’Europa? Con l’approvazione della “Legge europea sul clima” del 21 aprile 2021 l’obiettivo dell’UE è la riduzione delle emissioni inquinanti del 55 % per cento entro il 2030 rispetto ai valori registrati nel 1990 e il conseguimento della neutralità entro il 2050. Un obiettivo ambizioso certamente ma con buone probabilità di essere conseguito perché in vari Paesi europei i partiti verdi e ambientalisti stanno crescendo, soprattutto in Germania.
Forse si poteva fare di più, ma tant’è!
Sarà un lungo e arduo cammino ma, finalmente, possiamo affermare che la difesa dell’ambiente non è più solo un appannaggio degli attivisti ma anche un preciso impegno delle maggiori nazioni.
Sotto il profilo geopolitico poi non dimentichiamo che il cambiamento climatico ed i conflitti hanno precise connessioni ed interdipendenze nella crisi globale di cui soffre il pianeta non solo per il clima. E’ questo un aspetto studiato oggi attentamente. Molti conflitti nascono proprio per questioni legate all’ambiente, all’uso che l’uomo ne fa, meglio all’abuso delle risorse naturali e al loro accaparramento a vantaggio di pochi e a scapito di tanti.