Siamo arrivati all’8 marzo, quello che sta a sottolineare i diritti delle donne, che se hanno bisogno di essere ricordati significa che il patriarcato gode sempre di ottima salute?
“Il vero cambiamento culturale sarà quando le donne rinunceranno a scimmiottare modelli maschili, per costruire una nuova leadership fondata sull’empatia e sull’ascolto”, A. Polimeni (rettrice della Sapienza, la prima donna -dopo 700 anni-, una tosta).
Ma quando, di preciso, avremo l’opportunità di esercitare abbondanti manciate di potere, perché ad oggi siamo ancora in minoranza nei luoghi del comando, anzi lo abbiamo perso il “luogo”, essendo tra le più sacrificate dalla pandemia (402mila posti di lavoro persi tra aprile e settembre 2020).
“Studiate fino alle lacrime, ragazze”, incita la criticata Palombelli a Sanremo “e lavorate fino all’indipendenza”. E loro, le ragazze, in effetti sembra ce la mettano tutta. Alla Sapienza, per esempio, sono più numerose le studentesse: si presentano in ingresso con voti più alti, si laureano prima e con voti più brillanti dei coetanei maschi. Però, poi, com’è come non è, hanno minor peso nei ruoli accademici apicali (solo 30% di ordinarie reclutate nell’ultimo triennio). Certo, quando trattasi di discipline scientifiche, tecniche, ingegneristiche e matematiche, indietreggiano, mollano il colpo, sembra che non si ritengano all’altezza, magari si lasciano pure inghiottire dallo stereotipo di genere, cosicché ancora in poche scelgono le facoltà delle scienze dure.
E che la maternità continui a fregarti la carriera (la chiamano “incompatibilità con i carichi famigliari”) è una cavolata da femministe fuori moda? Perché il femminismo sarebbe una questione ideologica, quindi?
“Dispari opportunità per pari capacità” è un assunto insensato per fissate d’altri tempi, sostanzialmente? Non credo. Capacità di accoglienza (e non tanto “personalità autoritaria”, come si potrebbe essere indotti a pensare) e spirito di servizio ci rendono particolarmente abili nel migliorare le cose, ma poi finiamo ad essere pagate meno dei maschi.
Sì, ho trattato solo di una parte delle donne e può essere altamente discutibile parlare di diritti femminili e poi incentrare il discorso solo su quelle che studiano, come se le altre, quelle che magari hanno “mollato” a 16 anni per dedicarsi ad un lavoro apparentemente “umile”, a un figlio, a un viaggio, a un uomo, a un genitore, o semplicemente ad “altro”, non abbiano diritto ai diritti solo perché non se li sono conquistati a colpi di 30 e lode. Può perfino suonare vagamente sessista stressare ancora l’idea che i diritti vadano conquistati e non semplicemente pretesi, anche perché ad un uomo mica gli si chiede di laurearsi per esercitare i suoi diritti di maschio. Ho fatto una scelta, ho scelto di parlare di università, voti, inserimento nel mondo del lavoro, restringendo il campo, senza per questo mirare al diktat: “Laureatevi se volete essere riconosciute come soggetti portatori di dignità e diritti”. La questione è che non si può sempre parlare di tutto.
Quindi Signore, in conclusione, avanti tutta, e più narcisismo per tutte, perché per occupare posti di potere ci vuole pure quello, ché nella versione che ho in mente non richiede il vaglio del setaccio maschile come in un selfie dal sapore sexy, ma produce lungimiranza e caparbietà. E ci emancipa.
Luisa Ghianda, psicologa e counselor, Urgenza Psicologica Monza