La mutevolezza delle mode e delle esigenze, qualche anno fa – quindi in periodo non sospetto – aveva creato una nuova usanza, quella di trascorrere il tempo libero in casa, con abiti comodi, dedicandosi ai piaceri della lettura o della visione di un film o di un programma in tv, magari in compagnia di un buon bicchiere di vino: il vero relax dopo le lunghe e stressanti giornate lavorative.
Uno dei pochi elementi certi per sconfiggere il virus è evitare i contatti sociali e restare in casa (compatibilmente con le esigenze di lavoro, di salute e di necessità sulle quali i DPCM ci hanno resi esperti). Il distanziamento è stato il tratto dominante dell’esistenza durante l’epidemia del Coronavirus, lasciando alla rete il contatto con mondo, con il lavoro, con gli amici, con i familiari, per un distanziamento sì fisico, ma non sociale.
Così la distanza dagli altri è stata necessariamente la cifra di questi mesi, provocando effetti sulla vita privata, ma anche sul sistema culturale, con una volontaria reclusione in casa: si esce solo per motivi di sopravvivenza, cercando di evitare chi si può incrociare per strada, ritirandosi il prima possibile ed evitando in modo sistematico ogni contatto esterno.
L’abitazione, allora, ha assunto una nuova considerazione, a dispetto del fatto che la regola di vita degli ultimi decenni è stata quella di vivere fuori dalle mura domestiche. Peraltro le case non erano attrezzate per trascorrervi tutto il giorno, ma utilizzate maggiormente per il riposo (anche gli amici li si incontrava preferibilmente al bar o al ristorante).
A dire il vero la mutevolezza delle mode e delle esigenze, qualche anno fa – quindi in periodo non sospetto – aveva creato una nuova usanza, quella di trascorrere il tempo libero in casa, con abiti comodi, dedicandosi ai piaceri della lettura o della visione di un film o di un programma in tv, magari in compagnia di un buon bicchiere di vino: il vero relax dopo le lunghe e stressanti giornate lavorative.
Restare a casa può essere un nuovo modo alternativo di trascorrere il tempo libero rispetto ai locali? Pare di si, facendo apprezzare la quiete casalinga invece dell’uscita a tutti i costi (con relativi riti e costi). La casa, quindi, come luogo di relax, non necessariamente legato alla solitudine, ma ad una nuova qualità della vita. Del resto in casa oggi si può fare tutto, dallo shopping alla sperimentazione culinaria, con in più la comodità di non doversi spostare, preparare, ecc.
Quasi come novelli Robinson Crusoe ci si è dovuti riadattare alla vita in casa in termini di usi e nuove impostazioni. Del resto, e il lockdown ce lo ha dimostrato, si è avuto modo di apprezzare atmosfere, stanze, angoli, mobili che riportano sensazioni del passato, dell’infanzia, del ricordo di chi non c’è più.
Ci si è resi conto che le case contengono tanti segreti piaceri e tante cose dimenticate, che la fretta, la frenesia e la mancanza di tempo ci hanno fatto trascurare: se si ha un attimo per dedicarsi a qualche mobile dimenticato si potranno trovare album fotografici, vecchi giornali, fumetti, pupazzetti, giocattoli, lettere, cartoline….
Il trascorre tante ore protetti nella nostra casa ci ha mortificati o rafforzati?
Ovviamente è dipeso da noi, se abbiamo valorizzato la permanenza forzata con un maggior dialogo o facendo compagnia a chi abita con noi, ascoltando musica, navigando in internet, telefonando ad un amico, riordinando la casa, leggendo un libro per intero (“dall’inizio alla fine” come ha confidato al Corriere della sera l’arcivescovo di Milano Mario Delpini nel suo lockdown), pensando ai valori che davvero contano nella vita.
Ecco l’importanza di occupare il tempo con creatività, inventarsi giochi coi figli, pulizie particolari, hobby del momento o del passato, palestra fai da te, solidarietà nel senso di maggiore attenzione ai fragili con particolare cura alle esigenze di bambini, disabili, anziani.
Abbiamo scoperto che la casa è l’involucro della nostra identità. Da qui si capisce perché un trasloco possa dare scosse così profonde.
Abbiamo scoperto tante cose in cantina o in soffitta o in vecchi mobili, oggetti della memoria, i quaderni dell’infanzia, i giocattoli da trasmettere a eventuali figli o nipoti (non si pensa mai che siano superati, se hanno divertito noi divertiranno anche loro), vecchie lettere, album fotografici risalenti a prima che tutto fosse digitalizzato. Oggetti messi da parte per un uso futuro, ma il futuro è arrivato e li ha trovati inutili e dimenticati, perché oggetti che hanno valore e senso solo per noi, e non lo avranno per nessun altro quando non ci saremo più.
La casa ha dimostrato che quelle cose che prima si facevano all’esterno – riunioni, lavori di gruppo, lezioni, cinema, organizzazione di eventi – si possono fare anche nello spazio domestico. Del resto anche coloro che sembravano più recalcitranti all’utilizzo della tecnologia per gli incontri, preferendo la presenza all’on line, prima o poi si sono abituati all’utilizzo del digitale e alla comodità di avere tutto a portata di mano.
Questa nuova situazione pone anche un ripensamento sull’allocazione delle abitazioni. Se prima la città era il luogo ideale per lo svolgimento di una dinamica vita professionale e sociale, oggi qualcuno ha già iniziato a spostarsi verso seconde case in luoghi più tranquilli e ameni. Quando lo spazio della vita pubblica diminuisce e si trasferisce nel virtuale, lo spazio della vita privata si dilata. La comodità delle connessioni e la possibilità di rendersi presenti anche a chilometri di distanza, spingono a cercare una maggiore tranquillità nell’abitare lontano dall’inquinamento e dalla frenesia delle città. Di conseguenza muta anche la geografia di imprese e attività commerciali, prima legate al mondo delle metropoli.
Quale funzione, allora, potrà avere la città? E potrà generare ancora comunità?