La socialità si è sempre basata sulla narrazione di storie, ma ora si è spostata online.
Da quando esiste la comunicazione verbale, ossia una forma di linguaggio strutturato, l’uomo ha sempre messo al centro della vita sociale il racconto di storie, vere, fantasiose o verosimili, per le finalità più disparate: potere, amore, denaro, amicizia, cultura, divertimento, eccetera. La narrazione, che oggi usando un inglesismo chiamiamo “story telling”, ha occupato storicamente un posto di rilievo nel tempo libero dell’uomo, assumendo diverse forme: dalle pitture rupestri di età preistorica al racconto orale, dalla scrittura alle molteplici arti, dal cinema fino ad arrivare al mondo digitale odierno e ai social media.
Secondo l’ultimo rapporto stilato in questi giorni dalla società Hootsuite/We Are Social, sono ormai ben 4 miliardi e 14 milioni le persone attive sui social network, ossia il 53% della popolazione mondiale. La crescita rispetto al 2019 è stata del 12,3% e ben il 99% degli utenti accede ai social media tramite il proprio cellulare. Dati che parlano da soli su quanto la socialità si sia spostata dal mondo reale a quello digitale, con una spinta dovuta anche alla situazione contingente globale connessa alla pandemia di Covid-19.
Negli ultimi mesi stiamo assistendo a due interessanti fenomeni per quanto riguarda il mondo dei social media: la diffusione delle “storie” e la consequenziale convergenza tra le varie piattaforme.
Le “storie” sono state introdotte per la prima volta sette anni fa su Snapchat. Una funzionalità che ha rivoluzionato il settore perché permetteva, per la prima volta, di pubblicare sull’app delle foto visibili solo per ventiquattro ore. Il successo di questa innovazione, soprattutto tra gli utenti più giovani, è stato notato dalla concorrenza e nel 2016 le “storie” sono state aggiunte anche su Instagram, che ha puntato molto su questa novità fornendo agli utenti sempre più optional per arricchire lo “story telling” da blocchi di quindici secondi: filtri, adesivi, gif, sondaggi, musica e quiz.
La possibilità di pubblicare “storie” con foto o video della durata di 24 ore è stata poi aggiunta nel 2017 anche su Facebook e successivamente su WhatsApp, dove al posto di “storia” è possibile condividere uno “stato”. Un fenomeno di convergenza tra social media diversi, reso possibile anche dall’acquisizione di Facebook sia di Instagram (9 aprile 2012) che di WhatsApp (operazione annunciata il 19 febbraio 2014). Mark Zuckerberg ci aveva visto giusto.
Il fenomeno dello “story telling” breve e cancellabile nell’arco di una giornata, salvo la possibilità di salvare le “storie” per esempio mettendole “in evidenza” su Instagram, ha contagiato recentemente anche altre piattaforme concorrenti: Twitter e LinkedIn. Su Twitter, da maggio, è possibile per gli utenti italiani pubblicare i “fleet” attraverso l’app del cellulare. Molti avrebbero però preferito l’introduzione della funzione “modifica” per i tweet (fonte: “Twitter, ecco i ‘fleet’: cosa sono e come funzionano”, AdnKronos.it del 22/05/2020), vero tallone d’achille di questa piattaforma fin dal suo debutto nel 2006. Da qualche settimana anche su LinkedIn è possibile pubblicare delle “storie” della durata massima di 20 secondi, ma solo utilizzando l’app mobile. Complice anche lo smart working e il lockdown di questi mesi, sulla piattaforma dedicata al mondo del lavoro e dei professionisti le conversazioni sono cresciute del 55% su base annua, mentre la creazione di contenuti ha fatto registrare un incremento del 60% (fonte: “Le Storie arrivano anche su Linkedin” di Mark Perna, Panorama.it del 20/10/2020). Un vero e proprio boom.
Nell’universo mediatico social i trend per il prossimo futuro sembrano abbastanza chiari: un maggior uso delle “storie” da parte degli utenti e una maggior convergenza tra le varie piattaforme, almeno per quanto riguarda le funzionalità di maggior successo.