Attualmente in tour il film finalista del Premio Zavattini interpretato da Valentina Bellè.
E’ attualmente in tour per rassegne e festival La Napoli di mio padre, il nuovo docu-film della regista, sceneggiatrice e giornalista veronese Alessia Bottone, interpretato dall’attrice veronese Valentina Bellè, prodotto nell’ambito del Premio Zavattini in collaborazione con Archivio Aamod, Istituto Luce e K-Studio.
Doppiamente premiato al Festival Filoteo Alberini lo scorso 30 agosto – Miglior Sceneggiatura e Miglior Montaggio e al Festival Ethnos di San Giorgio a Cremano (1° classificato Sezione Cinema – 12 settembre), il film è stato selezionato al Festival Sign of the Nuit di Bangkok e, attualmente, è in concorso per la sezione BEI DOC al 38°Bellaria Film Festival (proiezione 25 settembre ore 13:10 Cinema Astra), al Matera Film Festival (proiezione 26 settembre) e al Sedicicorto International Film Festival di Forlì (2-11 ottobre) e disponibile sulla piattaforma MyMovies per la durata dell’evento. Il film sarà proiettato a Verona durante il Festival “Non c’è differenza” il 6 dicembre alle 18:00 al Teatro Laboratorio Scientifico.
Il docu-film, realizzato con immagini di archivio dell’Istituto Luce, Archivio Aamod, Home Movies e Cineteca di Bologna, annovera un’interprete d’eccezione: l’attrice veronese Valentina Bellè, volto noto della Rai, protagonista del film “Il principe libero” con Luca Marinelli, della serie TV “Volevo fare la rockstar”, conosciuta anche all’estero dove ha lavorato con Dustin Hoffman e Toni Servillo nel film “L’uomo del labirinto” e Antonio Banderas nella serie “Genius Picasso” per National Geographic Channel.
In La Napoli di mio padre,Valentina interpreta il ruolo della figlia, in viaggio a Napoli con il padre e a bordo di un treno notturno durante il quale quest’ultimo descrive la sua città natale e la sua infanzia nel quartiere Vicaria, in compagnia del suo amico Napoleone con il quale esplorava i vicoli con due taralli nelle tasche e tanti sogni nella testa. Il film – ispirato a una storia vera e interpretato dal protagonista della storia, Giuseppe Bottone, papà della regista – è un dialogo intergenerazionale che pone a confronto l’esperienza di un padre e i quesiti di una figlia che cresce, desiderosa di comprendere se stessa e il suo bisogno di esplorare il mondo ma anche di conoscere il passato, necessario per determinare il suo futuro. Il docu-film affronta il tema delle origini e si rivolge ai giovani, in costante ricerca di un posto o di lavoro nel mondo, incita a cogliere la bellezza e le opportunità offerte dalla libertà di viaggiare dei giorni nostri ricordando, però, quanto sia importante custodire il proprio passato e il proprio vissuto.
“Mi sono sempre sentita parte di un Sud che ho conosciuto solo grazie agli aneddoti di mio padre e di un Nord dove sono nata e cresciuta e mi sono chiesta se questa sensazione fosse condivisa anche dai figli dei nuovi migranti. Vivere in un contesto in cui convivono più culture è indubbiamente arricchente, ma trovare una propria identità all’interno di questa ricchezza non è sempre facile. Ho quindi raccolto i ricordi di mio padre per poi tornare nella sua città e mi sono ritrovata davanti ad uno specchio, sorprendendomi di riuscire a vedere un’altra parte di me stessa”, dichiara l’autrice.
La Napoli di mio padre ci riporta all’Italia che fu, quella dei nostri padri e dei nostri nonni, esortando lo spettatore a tuffarsi nel proprio passato, un concetto che l’autrice riassume in una delle frasi portanti del film “perché per quanto lontano possiamo andare torniamo sempre là dove tutto è iniziato”.
Fonte: CS dell’autrice