Dai 570 mila dipendenti in lavoro agile prima della pandemia agli 8 milioni con il lockdown. Ma noi viviamo di relazioni e quindi torneremo in azienda, anche se con modi e tempi diversi dal passato.
L’emergenza sanitaria che stiamo affrontando ha trasformato il concetto di smart working da privilegio a pratica obbligatoria.
Negli ultimi anni la massiccia informatizzazione del mondo del lavoro è stata per lo più concentrata nell’accrescere le potenzialità del lavoro di ufficio. Lo smart working insomma non ha avuto molta presa, anche se nel 2017 è stata emanata una legge apposita per disciplinarlo. Il lavoro agile è stato vissuto finora come un fatto di nicchia, quasi con diffidenza, cogliendo più i limiti che i vantaggi. Ma il Covid l’ha posto, forzatamente, al centro dell’attenzione, al di là dei possibili ulteriori miglioramenti normativi. Così ha costituito il solo modo per continuare a lavorare da casa attrezzandosi al meglio per evitare i rischi di contagio nel pieno della pandemia.
Peraltro consente di poter vivere meglio il rapporto con la famiglia, evita lo stress degli spostamenti e il conseguente inquinamento ambientale. Anche sotto questo punto di vista la pandemia ha fornito una spinta al cambiamento per rivoluzionare il mondo del lavoro, i rapporti con i colleghi e la vita nelle città. Si pensi, ad esempio, che si potrebbe assumere chi vive a centinaia di chilometri dalla sede di lavoro, prevedendo magari solo un passaggio ogni tanto in azienda.
All’inizio lo smart working ha avuto l’effetto di uno shock in grado di destabilizzare la normale routine, poi ci è resi conto che – per lavoratori compatibili – è stata una soluzione ottimale.
Così nei mesi scorsi, nel giro di appena qualche settimana, si è passati dai 570 mila dipendenti in lavoro agile prima della pandemia agli 8 milioni con il lockdown (stime del Politecnico di Milano). Questa soluzione è stata molto apprezzata dalle aziende che hanno sottolineato come lo smart working faccia risparmiare il tempo perduto ogni giorno negli spostamenti, con più flessibilità, con la possibilità di lavorare per obiettivi, bilanciando meglio i tempi di lavoro e tempo libero. Per contro è stato lamentato l’aumento del tempo di lavoro in casa, senza riconoscimento economico, il maggior impegno per la famiglia, e la mancanza del confronto e della condivisione con i colleghi, che è uno degli elementi cardine del mondo del lavoro, legato alla socializzazione che agevola la creatività e produce benessere.
Su questo tema si auspica ancora un intervento del legislatore, capace di anticipare i cambiamenti, con regole chiare per i lavoratori e per le aziende in modo da dettagliare la nuova modalità lavorativa dal punto di vista della sicurezza, del rispetto per la privacy, della reperibilità e del diritto alla disconnessione, considerando che l’esperienza vissuta durante la pandemia ha dimostrato che la quantità e la qualità del lavoro non è venuta meno da remoto.
E’ da capire allora cosa succederà nel futuro prossimo. Questa inattesa rivoluzione è appena cominciata con la proposizione di un modello organizzativo che presuppone il ripensamento intelligente delle modalità di svolgimento delle attività lavorative e richiede un profondo cambiamento culturale per cui in qualche modo si sono poste le basi perché il lavoro agile diventi una regola e non l’eccezione, una prassi consolidata e apprezzata.
E così cambia lo scenario del vecchio tradizionale ufficio. Le chiacchiere tra colleghi alla macchinetta del caffè risulteranno un’abitudine novecentesca, tipica dell’era a.C. (ante Coronavirus). La pandemia ha ridisegnato la nostra realtà quotidiana e ha cancellato – almeno temporaneamente – il luogo fisico dove molti trascorrevano, fino a pochi mesi fa, buona parte delle loro giornate: l’ufficio. L’equazione cento dipendenti-cento scrivanie non funzionerà più.
Ecco allora il trionfo della call conference, delle videochiamate, di Zoom, Teams, Skype, di cui ignoravamo l’esistenza. Le videochiamate avevano già iniziato a prendere piede nei rapporti familiari e amicali (i nonni che volevano vedere i nipoti, gli amici che volevano sperimentare la più avveniristica modalità di contatto), con qualche conseguente disagio di immagine dato che costringono a mettere in vista ambienti casalinghi non sempre adeguati e dei quali si vorrebbe rivelare il meno possibile, inducono a rimanere attaccati a un display più a lungo di quanto si vorrebbe, e allora mentre telefoni non puoi più fare i fatti tuoi, girare il sugo, sistemare oggetti, magari anche scrivere al computer, fare facce strane, perchè ti vedono. E devi pure essere in ordine, niente capelli scompigliati, dato che ti sei appena sdraiato sul letto con la camicia spiegazzata e la barba incolta.
Ma video-riunioni e mail non bastano. Viviamo di relazioni e quindi torneremo in azienda, anche se con modi e tempi diversi dal passato. Lo smart working avrà più spazio. E a cambiare saranno pure le abitudini, i tic e le nevrosi che ci hanno tenuto compagnia per otto ore al giorno quando (sembra un secolo fa) ogni mattina si andava al lavoro.
Non si può annullare l’ufficio: la pandemia accelererà la digitalizzazione e integrerà il lavoro tradizionale con la flessibilità di quello remoto. Forse non ci saranno più scrivanie fisse e pause caffè, e gli ambienti saranno organizzati in base alle funzioni, ma c’è bisogno di contatto fisico, uno schermo non basta e un posto di lavoro reale sarà ancora irrinunciabile. E darà ancora un motivo per alzarsi presto al mattino, mettere l’acqua di colonia e tuffarsi nel traffico mattutino della città.