Aspetti intimi ormai quasi dimenticati del modo di fruire dell’arte nei musei riemergono nel post lockdown a causa del distanziamento sociale. Il tempo, la riflessione, il silenzio ci fanno riscoprire il lato sacrale dell’arte.
Delle visite ai musei (alle quali si è stati iniziati in qualche fortunata gita scolastica negli intermezzi culturali tra l’approccio con l’altro sesso e la discoteca) resta quell’idea di obbligo, di noia, al più di qualche battuta ironica per vivacizzare l’ambiente, incuranti e neppure infastiditi dalla folla, dal brusio, dalle nuche che impediscono visioni nitide, quasi refrattari di fronte alle bellezze che i nostri avi hanno ammirato in spirito di sacralità. Talvolta i musei sono intesi come luogo di intrattenimento, oggetto di qualche commento sguaiato e, nel migliori dei casi, di selfie compulsivi (con i disastrosi effetti accaduti di recente alla Paolina Borghese del Canova nel museo di Possagno in provincia di Treviso, mutilata delle dita del piede) che denotano cosa siano diventati i musei al tempo dei selfie: uno sfondo per il proprio narcisismo con grande incuranza per il set. E’ il lato becero della comunicazione al tempo dei social.
Il lockdown, poi, ha spinto dinamici direttori ad aprire virtualmente i musei, interagendo con visioni tridimensionali e quant’altro per meglio ammirare e scoprire l’arte, restando indisturbati sullo schermo del proprio pc.
Infine è arrivato il distanziamento e, almeno nel caso dei musei, gli effetti … non sono stati così negativi.
Nella limitatezza degli accessi, i musei hanno assunto una nuova aria, luoghi quasi deserti, in penombra, che invitano alla riflessione e al silenzio, talvolta spettrali nella loro solennità, a volte incantati per il messaggio magnetico che trasmettono.
Il distanziamento sociale ne ha rimodulato la fruibilità consentendo la possibilità di sostare da soli, di poter ammirare lentamente, riflettere nel silenzio, decidere di fermarsi di più dinanzi a una scultura o a un quadro, indugiare maggiormente su personaggi, paesaggi, dettagli, visioni d’insieme, scorci, volti, sfondi che hanno una storia e un messaggio da riferire.
Ci si può dedicare con calma alla lettura di pannelli e didascalie, facendosi incantare dal silenzio e dalle voci interiori che quel silenzio fa emergere, in quello che è il mistero dell’arte.
Così la cultura e l’arte diventano occasioni per la ripartenza, sfruttando l’inedita modalità di usufruirne, sia per l’elevazione della propria spiritualità ma anche per una ripresa collettiva. Come accadde nel dopoguerra, musei, teatri, cinema, musica ed editoria, pur provati dal conflitto, diventarono il collante per ridare fiducia alla comunità. La cultura è un simbolo di forza e un motore economico, come dimostra la memoria storica.
Del resto, innovando e rivoluzionando, come fecero gli intellettuali del passato, si torna a vivere.
Attraverso l’arte, la cultura, la letteratura, la musica, troviamo il modo per riaprire il Paese al futuro.