Si stanno consumando quelli che probabilmente sono gli ultimi giorni dì una delle più terribili crisi umanitarie della storia moderna. Racconti dei superstiti, immagini e social network riescono solo a darci una pallida idea dell’inferno di Aleppo e della regione siriana devastata dai bombardamenti del regime.
Nel corso di una guerra che dura da cinque anni sono state uccise quattrocentomila persone, e sei milioni e mezzo di Siriani ha dovuto lasciare il Paese.
E’ lecito chiedersi il motivo per cui la comunità internazionale, risultati alla mano, abbia una volta ancora fallito nel prevenire e successivamente nel contrastare non tanto un conflitto, quanto ciò che ha assunto i connotati di un genocidio.
Le Nazioni Unite sono state fondate con ammirevoli intenzioni, tra cui la protezione dei diritti umani, ben delineata nell’articolo 1(3) dello UN Charter, lo Statuto delle Nazioni Unite, ed ovviamente un numero infinito di risoluzioni e dichiarazioni, di cui forse la più rappresentativa rimane la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. Tuttavia dal punto di vista legale ed operativo la situazione è estremamente complessa, e include dubbi riguardanti la sovranità popolare, il parteggiamento per il governo siriano od i ribelli, il ruolo della Russia, la minaccia del terrorismo, oltre alle catastrofiche implicazioni umanitarie. I crimini sono, a quanto ne sappiamo, commessi da ambo le parti, ma soprattutto da parte governativa. Tuttavia va ricordata la strenua opposizione all’apertura di corridoi umanitari da parti dei ribelli e dei report di esecuzioni sommarie sempre a loro opera. Insomma è difficile individuare la controparte ‘buona’. Però la vera svolta del conflitto intestino è stata l’entrata in azione della Russia, che ha condotto ad un infinito aggravamento delle ostilità.
Esistono tre legittime ragioni per cui una coalizione internazionale potrebbe intervenire con la forza; e quando si parla di forza si fa sempre riferimento al Capitolo VII dello UN Charter, che disciplina appunto le azioni coercitive ad opera delle Nazioni Unite e gli Stati Membri. Queste ragioni sono:
Autodifesa (art. 51). In tal caso bisognerebbe dimostrare che, come fu per l’Afghanistan nel 2001, esista una correlazione diretta tra il conflitto e la minaccia terroristica, oppure che esso abbia degli effetti talmente significativi nei Paesi circostanti (quali Giordania, Turchia…) da poter costituire una minaccia per loro. Non è chiaro poi quale parte si dovrebbe sostenere, dato che le UN non specificano che la risoluzione della minaccia debba tradursi in un governo democratico.
Azione umanitaria finalizzata a mettere fine alle atrocità di massa. Questo è probabilmente il più consistente argomento per fermare la guerra. Ma siccome il SC non approva l’intervento sussiste un problema di legittimità. La ‘responsabilità di proteggere’ i civili è oramai un caposaldo della legge internazionale, ma la sua applicazione è deficitaria e controversa. La domanda è perché il SC non procede ‘sotto’ il Capitolo VII ma emette risoluzioni per il cessate il fuoco, legalmente ‘binding’, cioè che dovrebbero essere implementate dagli Stati Membri (art. 25), senza ricorrere all’uso della forza?
Autorizzazione da parte del Security Council (SC), il Consiglio di Sicurezza delle UN, qualora deliberi una risoluzione sotto il suddetto Capitolo VII in cui definisce la situazione siriana una minaccia ‘threat’ alla pace ed alla sicurezza internazionali. Il problema è che nel SC, tra i Membri permanenti chiamati P5, ci sono Russia e Cina; la prima coinvolta nel conflitto al fianco del regime di Assad, la seconda da sempre contraria ad ingerenze unilaterali nelle dispute locali, nonostante si tratti di centinaia di migliaia di vittime innocenti. Russia e Cina hanno più volte esercitato il diritto di veto nelle risoluzioni del SC. Il regime di Assad ha ‘invitato’ la Russia, o la Russia si è offerta di aiutarlo, il che è regolamentato dal Capitolo VII solo in caso di una specifica risoluzione. Quindi la le forze russe sono impegnate in un’azione illegale.
Putin evidentemente non ha scrupoli. Va detto che qualora il SC approvasse l’uso della forza ci sarebbe il problema del come e con chi. L’intervento sarebbe auspicato dalle UN, supportate dal Military Staff Comittee, richiedendo agli Stati Membri di organizzarsi su base volontaria.
Come abbiamo visto la legge internazionale presenta diverse vie per giustificare l’intervento militare in favore di un cessate il fuoco, ma purtroppo l’implementazione dello stesso presenta estreme difficoltà. Ancora una volta assistiamo impotenti ad una tragedia senza fine, che getta sconforto nel potere d’azione della comunità internazionale liberale. Il risultato delle elezioni negli Stati Uniti virtualmente peggiora la situazione, dato che la Russia potrebbe proseguire ad agire indisturbata nella sua politica estera aggressiva, per usare un eufemismo. I bombardamenti filo-regime, per quanto le atrocità non vengano solo da tale parte, sono i più devastanti ed hanno un chiaro interesse politico a discapito dei civili, che continuano a soffrire e morire.
Fabio Villa
Nato a Monza nel 1986 e si è laureato in medicina col massimo dei voti presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.
Durante gli studi si dedica ad attività di volontariato in Italia ed all’estero (India, Nepal, Mali, Rwanda, Brasile, Cambogia).
Dopo tre anni di formazione chirurgica nel dominio cardiovascolare, ed un master in economia che l’ha portato in università quali Harvard e Fletcher, si è trasferito a Ginevra, ove si dedica all’esercizio della Psichiatria e Psicoterapia ed in parallelo a svariati progetti.
Vanta prestigiose pubblicazioni sulle più autorevoli riviste scientifiche, tra cui The New England Journal of Medicine.
Si dedica inoltre alla filosofia delle scienze ed alla storia delle religioni. Nell’aprile 2014 pubblica il libro Il Placebo. Viaggio nell’Idea di Dio (Aracne) nella collana Atene e Gerusalemme diretta da Giuseppe Girgenti, professore di Filosofia Antica ed allievo di Giovanni Reale.