Ma che aspettate a batterci le mani / a metter le bandiere sul balcone? / Sono arrivati i re dei ciarlatani / i veri guitti sopra il carrozzone. / Venite tutti in piazza fra due ore / vi riempirete gli occhi di parole / la gola di sospiri per amore / e il cuor farà tremila capriole…
Fo, oggi 13 ottobre, ci ha lasciato, increduli che un grande uomo che sorrideva di tutto, anche della morte, ci abbia potuto lasciare così, senza preavviso.
Non ci crediamo, invece il tempo passa, anche per Dario. Un riferimento culturale e politico per molti di noi, quando insieme a Franca Rame si era asserragliato alla Palazzina Liberty di Milano e lì con una masnada di giovani teatranti aveva tentato di scalare il potere corrotto e arrogante non per sostituirlo ma per deriderlo.
Gli anni ’70 a Milano. Non sono stati facili. Le contestazioni operaie e studentesche, la strategia della tensione, le bombe a piazza Fontana, Valpreda accusato come anarchico, Pinelli catapultato giù dalla Questura, una società in fermento che produceva cultura, contro/cultura.
Seguivamo Fo in corteo ovunque vi fosse bisogno di solidarietà, una fabbrica occupata, la Fargas, una lotta studentesca, un presidio. Dario era lì con Franca e assumevano la condizione operaia e popolare come condizione di pena e di salvazione, immaginando canti, nenie, linguaggi inventati come in Mistero Buffo, la chiesa piegata al servizio dei poveri, un novello san Francesco che ha fatto della parola e del suo corpo un movimento continuo, un’ondulazione come se il mare della storia e della rivolta potesse, sbeffeggiandolo, mettere a nudo il potere.
Ha sempre seguito la corrente della protesta, accogliendo le ragioni degli ultimi e facendole proprie. L’ho incontrato l’ultima volta sul terrapieno del Piccolo Teatro Studio dove si celebravano il 29 maggio 2013 alla maniera popolare i funerali di Franca, sua compagna di una vita. Gli ho ricordato quando recitavano insieme e quando lui partiva con le battute inesistenti e inventate lì per lì mettendo in crisi Franca che lo redarguiva pubblicamente. Lui tirava dritto e dopo un po’ interveniva con il suo intercalare: ‘Un artista può permetterselo!’ e proseguiva nell’invenzione delle storie con un linguaggio medievale che non si capiva da dove venisse ma che accompagnato alla sua gestualità bestiale era tutto un’immaginazione.
Sempre ridendo, sorridendo della vita, irridendo il potere, che non comprese la scelta dell’Accademia di Svezia quando il 9 ottobre 1997 gli consegnò il Premio Nobel per la letteratura, ‘perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, dileggiava il potere restituendo la dignità agli oppressi’.
Allora Fo commentò che con lui avevano voluto premiare la gente di teatro. Straordinario!
Gioimmo con lui perché vedevamo riconosciuto quello spirito di cantore degli umili e degli oppressi, che si fa dio e Cristo per redimere e riportare in cielo la povera gente che aveva sofferto tanto.
A Franca aveva dedicato l’ultimo saluto recitando una farsa da lei scritta sulla genesi e sulle donne, riscattando il ruolo di Eva non peccatrice ma progenitrice che aveva spinto Adamo a riprendersi la dignità perduta.
Dario resta nei nostri cuori, così come Franca, perché hanno messo la loro arte al servizio della umanità diseredata lontana dal potere ma molto vicina al regno dei cieli, con una risata beffarda come sapeva fare lui.