Al tramonto di lunedì scorso è iniziato il cessate il fuoco in Siria voluto e concordato da Stati Uniti e Russia. Tutti sperano che regga. Alla fine di una lunga maratona negoziale notturna, Mosca e Washington hanno raggiunto un accordo nelle prime ore del mattino di sabato per ripristinare la “sospensione delle ostilità”, fallita nella tornata negoziale dello scorso febbraio. Dopo tanti mesi di distruzioni la popolazione civile era allo stremo ed era quindi indispensabile – come più volte richiesto da Staffan de Mistura Rappresentante ONU per la Siria – consentire ai convogli dell’assistenza umanitaria di raggiungere le zone disastrate. L’accordo spiana anche la strada all’azione aerea congiunta di Russia e Usa contro lo IS, al Qaeda e le altre formazioni terroristiche collegate. Se terrà, gli Stati Uniti e la Russia inizieranno i raid contro lo Stato islamico e Jabhat Fateh al-Sham, il movimento già noto come Al Nusra. I gruppi terroristici da colpire sono stati congiuntamente individuati ma non tutti quelli che operano in diverse e complicate alleanze nell’area sono nella lista concordata. Alcuni sono rimasti negli elenchi, tra loro non coincidenti, che USA e Russia hanno ciascuno nel proprio paniere di bombe. Ma tant’è, è già un risultato.
Il passo successivo potrebbe essere quello di utilizzare l’accordo come un trampolino di lancio per il raggiungimento di una soluzione negoziata del conflitto, rivitalizzando i colloqui ONU di Ginevra che sono in stallo. A tal proposito, De Mistura si consulterà il prossimo il 21 settembre con il Segretario Generale Ban Ki-Moon per stabilire una data per la prossima tornata di negoziazioni. Il governo siriano ha dichiarato il suo sostegno all’iniziativa ed il presidente Bashar al-Assad ha confermato il suo impegno nella lotta contro i terroristi per riportare tutta la Siria sotto il suo controllo.
A livello internazionale tutti hanno preso atto del positivo risultato ma lo scetticismo impera perché i più dubitano che questo accordo possa avere successo. Molti sostengono infatti che nella migliore delle ipotesi esso assicurerà solo una breve tregua per i siriani dei territori occupati dalle formazioni contrarie al regime che vivono sotto il bombardamento quotidiano degli aerei di Hassad e che soffrono la fame per gli assedi imposti dall’esercito regolare siriano e dalle milizie pro-regime.
Nell’ultimo quinquennio abbiamo assistito al lancio di più di una dozzina di iniziative di pace, tutte fallite.
Le distruzioni di città, il numero dei morti e dei profughi hanno raggiunto cifre spaventose (500 mila morti ed 8 milioni di profughi, il Paese distrutto). Secondo molti la misura è colma e si deve finalmente porre fine a questa immane tragedia. Ma il successo o il fallimento della trattativa dipenderanno anche dalla capacità di Russia e Stati Uniti di “imporre e far mantenere operante” la tregua sul terreno ai loro alleati.
In tutta evidenza l’accordo è debole perché basato sulla forzata convivenza di due posizioni, quella russa e quella statunitense quasi su tutto discordanti. Washington e Mosca non sono d’accordo nemmeno sul motivo principale all’origine del conflitto siriano. Per Washington la causa di tutto è Assad che ha irrimediabilmente perso la sua legittimità, e non sarà quindi in grado di ripristinare lo status quo, come invece dichiara di voler fare con l’appoggio di Putin. Per Mosca, ogni responsabilità di quanto è successo va attribuita totalmente ai gruppi terroristici anti regime che hanno seminato il caos nella regione. Queste differenti diagnosi portano a diverse strategie: per Washington la priorità è un processo diplomatico che promuova subito la rapida transizione della leadership della Siria da Assad ad altri, mentre per Mosca Assad deve rimanere per assicurare un ordinato passaggio del potere dalle sue mani ad una nuova leadership. Questa in sintesi la situazione.
Ma non solo USA e Russia sono della partita, l’attuale “disordine mondiale” non consente più a pochi potenti di decidere per tutti. Serve la partecipazione di tutti gli attori. Ed allora tutti gli analisti sono oramai convinti che la soluzione della crisi siriana debba passare, ovviamente attraverso l’impegno delle due ex grandi potenze ma anche, e soprattutto, attraverso l’accordo fra i Paesi della regione che appoggiano gli attori statuali e le fazioni contendenti.
Tra questi l’Iran pro-Assad, ed il blocco sunnita con Turchia e Arabia Saudita in testa che appoggia invece le compagini contrarie al regime.
In definitiva, Russia e Stati Uniti sono costretti a convivere in Siria, con Putin un gradino sopra Obama per quanto riguarda le “capacità politiche nell’area”. Si perché il Presidente USA, che nella fase finale del suo mandato ha rinunciato ad ogni vera opzione militare, dovrà “obtorto collo” incentivare l’impegno della Russia. Mosca rimane infatti l’unico attore che, una volta raggiunto un vero accordo politico, potrebbe supportare sul nascere una nuova leadership a Damasco, grazie alle sue truppe sul terreno ed alla capacità negoziale per trattare su entrambi i fronti. Gli USA, schierati da sempre contro Assad, non potrebbero farlo. Un punto in più per la leadership mondiale di Putin in attesa del prossimo Presidente americano.