La Trilogia dei Moderni è l’opera fotografica di Gérard Rancinan, una serie di immagini che rovesciano i grandi miti del mondo contemporaneo, fra cui la libertà, a favore del consumismo, della cultura industriale, del culto degli oggetti, che muovono la società moderna. Sono delle ‘Metamorphoses’. Rancinan chiama in questo modo il cambiamento nel corso del tempo di alcune icone dei grandi maestri della pittura del passato, fino al loro sconvolgimento. Qui la ‘Libertà che guida il popolo’ di Delacroix assume le sembianze di una donna velata da uno chador, che guida un masnada di soldati bambini impugnanti lattine di Coca-cola e giovani rapper avanzanti su un terreno disseminato di corpi esanimi e schermi ultraflat. La critica feroce e impietosa di Rancinan ci riporta al dibattito attuale sul burkini. Una specie di costume da bagno indossato sulla spiaggia dalle donne musulmane, che le copre interamente lasciando scoperti il viso, le mani e i piedi. In Francia è vietato per ragioni di sicurezza. Alcuni sindaci hanno fatto ordinanze specifiche e sono fioccate le prime multe. Il Presidente del Consiglio francese Manuel Valls sostiene la incompatibilità del burkini con la nostra cultura. Qui da noi i pareri oscillano fra le posizioni dei democratici e dei conservatori, fra libertà e divieto. La questione è più importante di quanto può sembrare. Vedo immagini di sub o di suore comparate con donne fasciate dal burkini. Come dire: non è possibile vietare ad alcuni e consentire ad altri. Non è la stessa cosa. I sub indossano la tuta per una funzione, le suore indossano il loro tipico vestito sempre. Io non sarei così categorico. Non ci vedo problemi particolari se una donna vuole andare sulla spiaggia, così vestita. Lo facevano le nostre nonne che per bagnarsi usavano le sottovesti alle ore antelucane del giorno, all’alba, per ragione di pudore. La stessa cosa ho visto fare dalle donne marocchine sulle loro spiagge per non essere viste, sempre per pudore. La domanda da porsi è questa: ‘Sono libere le donne musulmane di non indossarlo? E lo possono fare?’
La questione della libertà è importante. Se è costrizione, anche se autoimposta è diverso. L’altro aspetto significativo è la battaglia culturale che ci tocca fare. Io non credo nei divieti per legge. Tuttavia mi chiedo come sia possibile favorire l’integrazione di chi si sente diverso e vuole mantenersi tale? E’ una questione dirimente la laicità del nostro vivere comune. Ognuno può pensarla come vuole in tema di religione e ha diritto di professarla ma questa modalità non può e non deve condizionare la vita sociale. Non è un’imposizione, ma una conquista della nostra civiltà. In questo senso dovremmo condurre una vera e propria offensiva culturale perché anche le donne musulmane si sentano libere e lo siano, ma a condizione che la loro diversità conclamata non diventi elemento di lotta intestina per l’affermazione dei propri valori. La via è stretta ma si passa dalla cruna dell’ago per aspirare al ‘regno dei cieli’, che è prima di tutto sulla terra.