Quando mi è stato proposto di scrivere un contributo in merito all’emergenza Covid-19, che tutti stiamo vivendo, mi sono immediatamente chiesta come potessi mettere la mia professionalità al servizio delle persone.
Avrei potuto scegliere di dare delle indicazioni per la gestione dell’emergenza, come d’altronde stanno facendo già in molti, o di spiegare le ragioni di certi comportamenti che appaiono del tutto irrazionali; ma da psicoterapeuta e coordinatrice del Servizio di Urgenza Psicologica, che usualmente lavora con e sulla crisi in termini evolutivi, credo sia più utile, anzitutto per me, ma spero anche per voi, proporvi una riflessione sul significato che questa crisi porta con sé e sulle possibilità evolutive che possiamo cogliervi.
I miei maestri mi hanno insegnato che gli psicologi non devono dispensare le risposte giuste, rischiando di colludere con i pazienti, quanto piuttosto aprire alla possibilità di formulare delle domande.
Pertanto mi chiedo e vi chiedo se quello che sta accadendo a tutti noi in questi giorni, costretti a riprogrammare le nostre esistenze modificando in maniera significativa le nostre abitudini e stili di vita, possa in qualche modo rappresentare per noi un’opportunità. Ve lo chiedo perché sono fermamente convinta che tutto quello che ci accade possa sempre diventare un’opportunità.
E se quello che suggerisco può aiutare le persone ad avere meno paura, forse la risposta è già scontata.
Viviamo in una società che non facilita affatto il contatto con sé, ma anzi lo ostacola in maniera quasi scientifica: siamo tutti perennemente connessi col mondo esterno a qualsiasi ora del giorno e della notte, ma difficilmente ci interessiamo a noi stessi.
Siamo quotidianamente dispersi nel lavoro e nelle mie attività ed eventi di cui riempiamo le nostre giornate e quelle dei nostri figli. Ma noi dove siamo davvero? In quale tempo e in quale spazio ci collochiamo?
Troppo spesso la vita ci occupa e ci preoccupa di tante, troppe cose per le quali noi siamo sempre fuori di noi.
Vi sembrerà una provocazione, e forse lo è, ma vi chiedo: possiamo utilizzare questo tempo e questo spazio, che ora ci sono concessi così abbondantemente, anche troppo, per provare a stare con noi stessi?
E per stare con noi stessi bisogna accettare la propria umanità, che è fatta anche di paure e di “non so”, senza tentare di essere onnipotenti e senza maltrattarsi.
D’altronde questo virus, come tutte le calamità naturali, ce lo mostra benissimo: ci sono cose sulle quali il nostro margine d’intervento è minimo, ma non per questo trascurabile, o che ci obbligano ad accettare di essere soggetti alle Leggi della Natura.
Questo virus ci pone davanti alle nostre più grandi paure: la morte e la perdita; e ci fa sentire “limitati” ed impotenti. Ci impone inoltre la quarantena, decostruendo l’idea di mondo che abbiamo eretto negli anni. Non mi sento più cittadino del mondo, ma forse posso cominciare ad “essere cittadino” e riscoprire anzitutto il mio essere “essere umano”.
Questo virus ci impone di accettare il dolore della solitudine e di sospendere il bisogno di riempire il tempo e lo spazio, atteggiamento che ci svela tutta la nostra angoscia di esserci.
Allora se è vero, in questo caso, come sempre nella vita, che non posso cambiare certe realtà, di sicuro quello che posso fare è cambiare il modo di vederla questa realtà.
E solo assumendoci individualmente il peso di questa realtà possiamo trarne forza: in terapia, ad esempio, sappiamo bene che solo dando all’altro la responsabilità possiamo utilizzarla come risorsa per il cambiamento.
La responsabilità di sé passa attraverso la conoscenza di sé e l’accettazione del proprio essere è un atto di amore verso se stessi.
Il dramma della nostra società è che la necessità di confrontarci costantemente col giudizio esterno, di cui i social rappresentano le vetrine privilegiate, rappresenta di frequente un fallimento perché c’impedisce d’impegnarci nell’unica attività che dovremmo intraprendere e cioè scoprire il proprio personale senso della vita. Sin da piccoli, e questo è in primo luogo un problema educativo, dobbiamo costantemente dimostrare al mondo di essere capaci “di fare qualcosa”, piuttosto che “di essere”, e tentare magari anche di essere felici.
Ma ci dimentichiamo che se il mondo è troppo povero di interiorità la vita perde senso!
E allora la crisi può essere anche una benedizione per la società?!
Nella malattia non possiamo pensare solo a riparare il danno, ma dobbiamo pensare di fare qualcosa del “segno” che ci ha lasciato.
Il punto è dunque quale sarà l’evoluzione di questa crisi? Che cosa ne faremo quando la malattia sarà passata? Perché passerà, ne sono certa.
La scelta spetta a noi, alle persone che restano, che non scappano, perchè vivono davvero.
Non dimentichiamo, come diceva Giordano Bruno, che siamo creatori della nostra realtà:
“Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco.”
Dott.ssa Teresa Petrocelli
Psicologa e Psicoterapeuta sistemico-familiare, Coordinatrice Servizio di Urgenza Psicologica di Milano