Joel e Ethan Coen, tra i registi contemporanei statunitensi più influenti, tornano dietro alla macchina da presa per la 17esima volta con il film “Ave, Cesare!”, scelto per aprire la 66esima edizione della Berlinale.
Hollywood, anni Cinquanta. Eddie Mannix (Josh Brolin) è il “fixer”, ossia colui che deve mettere a tacere gli scandali che riguardano le più importanti star di un grande studio cinematografico, la Capitol Pictures. Fervente cattolico e professionista esemplare, si troverà a fronteggiare un caso difficile che lo metterà in crisi: il rapimento della star Baird Whitlock (George Clooney) da parte di un gruppo di sceneggiatori comunisti durante le riprese del kolossal biblico “Ave, Cesare!”.
L’ultimo film dei fratelli Coen è al contempo sia un omaggio che una parodia dell’età dell’oro di Hollywood, in un contesto storico da Guerra Fredda e di caccia alle streghe verso i comunisti anche dentro l’industria cinematografica. Con il solito sguardo ironico i Coen creano una cornice narrativa da noir, la storia principale del protagonista, per rievocare la “grandeur” del cinema americano del dopoguerra: dai film epici ai musical, dai western ai melò.
Anche in questo lungometraggio torna uno dei temi più cari alla poetica dei Coen: la fede. Di origine ebraica, i due registi-sceneggiatori hanno spesso posto al centro dei loro film questo tema, incentrando su di esso una delle loro opere migliori, “A Serious Man” del 2009.
In “Ave, Cesare!” la questione delle fede non viene affrontata solo in termini religiosi – il protagonista è ossessionato dal rito della confessione, che troviamo in apertura e chiusura della pellicola -, ma anche laici: la fede verso un’ideologia come il comunismo e il capitalismo, nel denaro e, infine, nella stessa industria cinematografica, fabbrica sia di sogni che di soldi.
Un film spassoso, non banale, più brillante nella prima parte, che regala alcune sequenze di altissima comicità come il dialogo al limite dell’assurdo tra i rappresentanti della varie religioni chiamati a esprimersi in qualità di censori sul film biblico o il maltrattamento finale riservato a Baird Whitlock, interpretato da un divertente Clooney, che subisce una doppia conversione: religiosa nella parte del centurione nel kolossal, ideologica a livello personale.
Dopo la visione del film ciò che rimane più impresso è l’ottima qualità della fotografia (affidata a Roger Deakins, storico collaboratore dei Coen), capace di far rivivere i fasti dei film classici degli anni Cinquanta, oltre che una caleodoscopica galleria di personaggi in cui si imbatte il protagonista della storia (un notevole Josh Brolin) interpretati da tantissime star: dal paziente regista Laurence Laurentz (Ralph Fiennes) alle sorelle giornaliste a caccia di scoop (Tilda Swinton), dalla regina dei film acquatici Dee Anna Moran (Scarlett Johansson) fino al breve cameo di Cristopher Lambert nei panni di un cineasta.
In conclusione, “Ave, Cesare!” è un buon film d’intrattenimento sicuramente riuscito, meno banale di quello che potrebbe sembrare a prima vista, perché capace di narrare con (auto)ironia la grandezza dell’età dell’oro di Hollywood, ma anche di mostrare, seppur in chiave parodistica, il lato meno nobile del “regime degli studios” che controllavano qualsiasi aspetto della vita degli attori, sulla cui carriera avevano potere di vita e di morte, come se fossero delle divinità moderne.