E’ una sera di maggio calda ma non troppo. Quelle sere di maggio nelle quali Milano sembra molto più bella e viva che in tutti gli altri mesi dell’anno. Incontro Filippo al Colorificio di via Cesariano, locale nuovo sulla scena milanese che rapidamente si è affermato come luogo di ritrovo di artisti e bohémien alla milanese.
Ci sediamo al bancone. Banconati, come chi è sempre di passaggio e aperto a nuove conoscenze. Ordiniamo due Gin Tonic. Mentre li prepara, chiedo a Filippo di raccontarsi brevemente, per chi non lo conoscesse.
Filippo Lambertenghi Deliliers, classe 1980, nasce a Milano negli anni in cui l’estetica di una città diventa nostalgia e stimolo. E’ il nuovo e l’antico, da vedere dentro lo stesso obiettivo. L’inizio è precoce ricerca. Pura, avida e curiosa ricerca di immagini.
Da quando l’infanzia si fa giovinezza e lo sguardo veloce. La città, i concerti, il vivere urbano, di corsa. Queste le prime, forti battute. Dopo gli studi alla Saint Martins, University Of The Arts di Londra, con sensibilità, usa il pentagramma di immagini che la società contemporanea offre, arrangiando gli scatti fotografici in armonie inusuali ma classiche al contempo.
La passione si trasforma in lavoro che convince presto il mondo del lusso (Filippo scatta per Louis Vuitton, Ralph Lauren, Bulgari, Cartier, Dom Pérignon e molti altri). Col tempo delinea un immaginario malinconico, ma ottimista, in ricerca di un bello che ripercorre ed unisce tempi e mondi diversi, nell’opera senza titolo di un testimone senza autore. Nel vivere quotidiano come nel mondo fotografato, posa la lente su dettagli che potrebbero sfuggire, senza caricarli di ulteriore senso, ma aprendo un dialogo che interroga chi si trova ad osservare gli scatti. Non si ferma a credere. Ma scivola, per conoscere. Eppure è come se al suo scatto, là fuori, tutto si mettesse in posa.
Nel frattempo i drink non solo sono pronti, ma già quasi a metà. Dopo le dovute presentazioni entriamo nel vivo delle domande sui lavori artistici di Filippo.
La fotografia per te è pianificazione o ispirazione? E se è tutte due, come si combinano i due aspetti fra di loro?
I miei progetti fotografici partono innanzitutto da un’ispirazione, nascono da una costante e attenta osservazione del mondo che mi circonda. Che sia un affollato mercato oltre oceano, un luogo abbandonato da tempo o un campo di grano in Maremma, le fotografie sono per me uno strumento per catturare emozioni e istanti che mi suscitano le persone, i luoghi e le atmosfere che incontro. La pianificazione, la tecnica arriva in un secondo momento, diventa uno mezzo per incanalare la creatività, renderla comunicativa e fruibile per altri.
Parlaci del duo Sumi Zura e del connubio fra un fotografo e un designer. Come è nata l’idea?
L’idea di Sumi Zura è nata spontaneamente col designer Michele Menescardi in seguito ad una collaborazione per un progetto fotografico commissionato da Bulgari, nel quale abbiamo per la prima volta cercato di integrare le nostre competenze per raccontare in maniera creativa il Giardino all’Italiana. Per la prima volta ci siamo trovati a studiare visivamente la griglia architettonica del giardino di Villa Medici a Firenze e pensato di sfruttare le simmetrie classiche di giardini e vialetti, creando delle visioni caleidoscopiche che ci hanno da subito conquistati.
Successivamente a questa prima esperienza abbiamo cominciato ad interrogarci su come l’immagine della città di Milano sia mutata nel corso degli ultimi anni e di quanto poco siamo abituati ad osservare le architetture di fronte alle quali molto spesso passiamo distrattamente, cercando di reinterpretarle con lo stile utilizzato per i giardini regalando all’osservatore un nuovo punto di vista.
In questo senso si può dire che abbiamo deciso di iniziare una ricerca di archeologia architettonica partendo proprio dal centro di Milano, alla scoperta dei primi grattacieli che, all’inizio del 1900, hanno iniziato a popolare il tessuto urbano. Stilando un elenco di tutte le torri e i grattacieli più significativi dell’epoca, abbiamo iniziato a scattare e a rielaborare le immagini che, cambiando punto vista e prospettiva, si trasformano davanti ai nostri occhi, regalando nuove interpretazioni e suggestioni.
Come lavorate insieme e come si uniscono due sensibilità e percorsi simili ma allo stesso tempo molto particolari?
La premessa alla maggior parte delle foto contenute nella ricerca “Urban Flowers” è la nostra volontà di rappresentare gli edifici nella tipica brutta giornata milanese, caratterizzata da un tipico cielo bianco uniforme, che fotograficamente risulta in una luce diffusa uniforme, quasi priva di ombre, in grado di illuminare gli edifici in maniera molto piatta e quasi artificiale, come fossero illuminati da un soft-box fuori scala.Solitamente selezioniamo l’edificio da fotografare, aspettando il momento migliore della giornata per iniziare lo shooting. Una volta raccolti più punti di vista dello stesso edificio, inizia la parte di manipolazione digitale che, rispettando le caratteristiche dello scatto e limitando al minimo gli interventi di post-produzione, si traduce nei visual selezionati. Infine, anche la scelta del supporto di stampa finale contribuisce all’esaltazione dei dettagli fotografici: le stampe vengono realizzate da un laboratorio specializzato nella produzione di supporti museali, utilizzando carte fotografiche fine-art a cui viene applicato una lastra di metacrilato che, funzionando come una sorta di lente di ingrandimento, accentua i particolari e conferendo profondità alle immagini.
In questo caso si può dire che il designer, così come un architetto o uno stilista, offrano all’occhio del fotografo un soggetto da poter interpretare e raccontare secondo la sua sensibilità artistica.
Nei lavori esposti nella vostra ultima mostra allo Spazio Rossana Orlandi, edifici simbolo di Milano, vengono rielaborati diventando quasi dei pattern che colgono la loro essenza di forma e di spirito. Ti ritrovi in questa definizione? Come vi è venuta l’idea di affrontare questo soggetto?
Lo spunto è stata l’osservazione del nuovo skyline milanese, a cui hanno contribuito alcune delle migliori firme dell’architettura contemporanea. Ci siamo chiesti se effettivamente conoscevamo gli edifici già presenti da diversi decenni
Progetti futuri?
La nostra idea sin dall’inizio erA QUELLA DI POTER Replicare LA NOSTRA RICERCA IN altre città d’europa e nel mondo.
Abbiamo già inziato una parte di shooting a Londra e stiamo già programmando altre location.
I drink sono finiti. E sono ben più di due. Ci vediamo al prossimo aperitivo.
Nel frattempo potete scoprire di più su Filippo http://www.filippolambertenghideliliers.com/ e sul duo Sumi Zura – http://www.sumi-zura.com/.
Simone Guzzardi
Nato a Milano nel 1982, ha compiuto studi nell’ambito della comunicazione e non ha più smesso di occuparsene.
In oltre dieci anni di esperienza presso alcune delle principali agenzie presenti in Italia, ha avuto modo di operare per importanti aziende italiane e internazionali attive in particolare nei settori finanziario, bancario, assicurativo, ITC, food&beverage e manifatturiero.
A febbraio 2017 ha fondato, insieme a The Van, l’agenzia di comunicazione istituzionale L45, della quale è anche Amministratore Delegato.
Docente in Master Post Universitari e redattore per magazine online.
È appassionato di musica e vespista irriducibile in ogni stagione.