La poltroncina sul balcone della casa milanese è li, mi attende, rassegnatamente esposta ai capricci delle stagioni. Mi accomodo, appoggio il capo e socchiudo gli occhi, a un tratto mi ritrovo in una trattoria sul mare seduto sotto un pergolato, scrivo o per lo meno ci provo, la musica del juke box è troppo alta allora chiedo al cameriere di farlo tacere. Mi rendo conto che anche senza musica non riesco a scrivere e allora attacco discorso con chi sta apparecchiando i tavoli. L’uomo non ha nessuna voglia di conversare, vuole solo raccontarsi, mi dice che gli sarebbe piaciuta un’altra vita, aspira a scrivere anche lui e fare in modo attraverso al scrittura di passare a quella condizione di immortalità che raggiungono solo gli scrittori di fama sopravvivendo attraverso la parola scritta al passaggio terreno. Provo tenerezza per quel desiderio che in fondo è di tutti quelli che non perdono occasione per raccontare che avrebbero tanto da raccontare e che la loro vita è un romanzo che prima o poi scriveranno. Lo diceva spesso anche mio padre mimando lo spessore del volume che era li tutto nella sua mente dove è rimasto. Riapro gli occhi, solo il tempo di accorgermi che sono li con le mie divagazione solo da pochissimo, non so come sono chiamati gli spazi tra i secondi. Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo, alcune ci riportano indietro, alcune ci portano avanti, in un altalenarsi di ricordi e sogni. Il tempo a volte e generoso, ci concede l’illusione che non passi. Richiudo gli occhi, immagino di bruciare i miei risparmi e liberarmi di ogni prova della mia identità gettando via il cellulare e tutte le diavolerie elettroniche che mi accompagnano tutti i giorni, proseguire poi come nei film di avventura a piedi facendo l’autostop, girovagando per andare o tornare in tutti quei luoghi che per pigrizia o rimando mi sono detto: “prima o poi ci vado”. Intanto penso ai tanti viaggi brevi che hanno segnato l’inizio e la fine delle mie giornate quando ero in attività lavorativa, ogni sera mi attardavo a osservare una frettolosa umanità, alla fermata dei mezzi pubblici mi dicevo: “prendo il prossimo tram tanto da avere modo di rimescolarmi con tutti gli altri noi, mi sentirò come un affluente dei fiumi e in quel gioco perpetuo di correnti sentirsi ancora una volta l’ultima goccia che si riversa in mare aperto”. Ieri come oggi alla fine di ogni giornata penso di aver perso qualcosa, non so esattamente cosa, la sensazione è comunque quella di aver perso qualcosa. E’ inutile che io provi a cercarla all’ufficio oggetti smarriti, non saprei descrivere cosa penso di aver perso. Mi torna in mente Alice nel Paese delle Meraviglie, il suo passaggio dal mondo reale a quello “delle Meraviglie”, i giochi di parole e i dialoghi surreali come:
Alice: “Per quanto tempo è per sempre?”
Bianconiglio: “A volte, solo un secondo”.
Il tempo è un gioco, giocato splendidamente dai bambini, a volte i bambini hanno i capelli bianchi.