Scegliere lo strumento con cui pubblicare il giornale che si è concepito e fondato è un’impresa impegnativa.
Per chi svolge l’attività giornalistica da alcuni decenni, l’idea di abbandonare la carta per orientarsi verso i nuovi media è una scelta difficile. Il frusciare della carta, l’odore dell’inchiostro, il ritmo delle macchine da stampa, la folle corsa verso la notizia, lo spasmo dell’editing, la rapidità dell’impaginazione, la soddisfazione del “pezzo” in pagina, sono come i sapori e gli odori della cucina della nonna. Ci si rimane romanticamente attaccati.
Ma, intanto che ci si crogiola nei ricordi, il mondo va avanti. E, quasi senza accorgersene, giorno dopo giorno, ci si ritrova in un mondo diverso. Un mondo dove i tempi, soprattutto quelli di lavorazione, sono cambiati. Passare dal “pezzo” battuto su una Olivetti Lettera 22, che doveva poi essere lavorato con un ulteriore editing sulla macchina da stampa, dopo essere passato dalla revisione del correttore di bozze e dal direttore per l’approvazione, a un sistema che offre la possibilità di dettatura del testo, che viene magari poi corretto da un software, e inviato per email al giornale, è stato un passaggio epocale. Un passaggio avvenuto progressivamente attraverso varie fasi, ma dal quale oggi non si può più prescindere.
L’ipotesi di “uscire in cartaceo” rimane nella sfera del sentimento e a nulla valgono le analisi dei dati forniti dai sistemi Audi di rilevazione che si occupano della diffusione dei giornali. L’Audipress, che non misura la diffusione delle vendite ma il numero di lettori delle singole testate, ci dice che un giornale viene letto mediamente da tre o quattro persone grazie al fatto che il lettore lo può trovare a disposizione al bar, nello studio del medico, o in altri posti aperti al pubblico (il record di 18 persone che leggono lo stesso giornale è della Gazzetta dello Sport). Ma il cartaceo, salvo un investimento milionario, rimane comunque nell’ambito della diffusione locale. Diffusione dei suoi contenuti per la quale il web offre un palcoscenico illimitato, soprattutto per chi come noi non ha l’esigenza di monetizzare vendendo copie perché ciò che facciamo non ha scopo di lucro ma solo l’obiettivo di fare cultura.
L’idea che un articolo possa essere prodotto e pubblicato ad un costo relativamente contenuto, e possa essere letto e interessare una molteplicità di persone fisicamente anche molto distanti tra loro, accedendovi con un semplice click del mousse, è elettrizzante.
Per un giornale che vuole proporsi come strumento di diffusione culturale, la cui linea è quella di fare cultura in ogni campo del sapere umano proprio perché la cultura è qui intesa come l’insieme di conoscenze acquisite dall’uomo quale essere sociale e quindi senza limitazioni di argomenti, di spazi, di tempi, il web è l’ideale.
Non potevamo, quindi, che proporre FARECULTURA Magazine anche on line, con un sito che raccoglie, approfondisce e amplifica i contenuti della nostra rivista offrendoli ad una più ampia platea di lettori.
Vogliamo trasmettere cultura ma, e soprattutto, vogliamo fare cultura anche con il web..