Dopo “Sapiens. Da animali a dèi”, del 2011, un lungo viaggio dell’uomo durato circa 70.000 anni oggi forse al capolinea, ci attendevamo con ansia e interesse, curiosità e desiderio, il nuovo saggio, già anticipato nelle batture finali, quando l’autore era già consapevole del fatto che fosse in gioco la continuità della specie umana così come l’abbiamo conosciuta finora.
Harari, docente di storia presso la Hebrew University di Gerusalemme, descrive la parabola dell’umanità, ricca di scoperte e successi, intrisa di lacrime e sangue, a partire dal mito di Prometeo, dall’addomesticamento del fuoco per cucinare, riscaldarsi, difendersi dalle belve e vincere con la luce il buio della notte. E ora alle prese con il progetto Gilgamesh. ‘Riuscirà l’uomo a sconfiggere la morte? – si chiedeva Harari. Questi grandi passi compiuti ci rendono forse più felici?’. L’Homo sapiens sta oltrepassando i propri limiti? Gli umani non erano già andati oltre, con Icaro e il suo folle volo e con Ulisse, che aveva oltrepassato le Colonne d’Ercole? Oggi nei laboratori di tutto il mondo gli scienziati stanno progettando esseri viventi. L’era della medicina personalizzata – la medicina che adatta le cure al DNA – è già cominciata. Il Progetto Gilgamesh, la ricerca dell’immortalità, mette alla prova le nostre nuove capacità potenziali di creare superuomini. Siamo giunti ad un punto di svolta inesorabile? ‘Che cosa vogliamo diventare?’ – si chiedeva ancora Harari. In circa 70.000 anni Homo sapiens da animale insignificante è sul punto di diventare un dio. ‘E soprattutto dove stiamo andando?’ Non è stato né facile, né semplice misurarsi con le piaghe che hanno devastato l’umanità: le carestie, le pestilenze e le guerre. E metterle sotto controllo. Non resta agli uomini che l’innalzamento al rango divino, acquisire le condizioni di essere divini. E gli strumenti sono qui, pronti, a disposizione: le biotecnologie, l’ingegneria biomedica e l’ingegnerizzazione di esseri non organici. Non senza fare i conti con il passato, la storia, non come maestra di vita, non per ripeterla ma per liberarsene, immaginando destini alternativi.
‘Come ha fatto la nostra specie a conquistare il mondo? – si chiede Harari. Quando gli umani hanno scoperto di discendere dai rettili si sono ribellati a Dio e hanno cessato di credere il lui. Durante la rivoluzione agricola l’umanità ha messo a tacere gli animali e le piante, durante la rivoluzione scientifica ha messo a tacere anche gli dei. La scienza e la tecnologia moderna hanno fornito agli umani poteri superiori a quelli delle divinità. Crollano certezze, l’una dopo l’altra. Non c’è evidenza scientifica che, al contrario dei maiali, i sapiens abbiano un’anima. E dal momento che il significato letterale della parola in-dividuo è qualcosa che non può essere diviso, l’anima non ha parti. Le scienze biologiche si sono sbarazzate dell’anima. ‘A differenza di Dio, gli antibiotici aiutano.’ constata Harari. La scienza ha bisogno della religione, entrambe mirano alla ricerca della verità. Sono perciò indotte a coesistere e persino a collaborare. La religione per assicurare l’ordine, la scienza per conquistare il potere.
‘La nostra vita non ha copioni, drammaturghi, registi o impresari e non ha senso!’ – riecheggiano in queste parole di Harari le condizioni dell’uomo moderno che si interroga nei ‘Sei personaggi in cerca d’autore’ di Pirandello alla vana ricerca di una parola dall’alto. Il mondo moderno non crede nello scopo, crede solo nella causalità. Possiamo fare ciò che vogliamo. Possiamo eliminare le pestilenze e la siccità. Le guerre non sono necessarie, possiamo costruire la pace… Dopo la morte non ci aspetta alcun paradiso. L’onnipotenza è davanti a noi, quasi alla nostra portata. La nanotecnologia, l’ingegneria genetica e l’intelligenza artificiale rivoluzioneranno la produzione. La vera nemesi della moderna economia è però il collasso ecobiologico e il riscaldamento globale. Nuove sfide ci attendono. ‘Che cosa accadrà al mercato del lavoro quando l’intelligenza artificiale supererà le prestazioni umane? I trionfanti ideali liberali stanno spingendo il genere umano al raggiungimento dell’immortalità, della beatitudine eterna e della divinità.’ – questi dice gli scenari che si parano davanti.
Quanto alle nostre supposte convinzioni abbiamo saputo che gli scienziati, aprendo la ‘scatola nera’ dell’Homo sapiens, hanno scoperto che non contiene un’anima né il libero arbitrio, né il sé, ma soltanto geni, ormoni e neutroni, che obbediscono alle stesse leggi fisiche e chimiche che governano la realtà. Solo ‘determinismo e causalità’ ci governano, altro che libertà! La scienza sostiene che l’individuo libero è soltanto una favola generata da un insieme di algoritmi. Che cosa accadrà quando gli algoritmi ci supereranno nell’abilità mnemonica, in quella analitica e nel riconoscimento di pattern? Con il passare del tempo diventa sempre più facile rimpiazzare gli umani con gli algoritmi informatici, che giungono a conoscerci meglio di quanto conosciamo noi stessi. Il rischio è uno stato di polizia orwelliano a cui non sfugge nulla, dove alcuni individui resteranno ‘indispensabili’ e ‘indecifrabili’, mentre le disparità e le diseguaglianze sociali sono già oggi scandalosamente sotto i nostri occhi: un miliardo di persone guadagna meno di un euro al giorno, un altro miliardo fra un euro e due e appena 62 miliardari insieme posseggono quanto metà genere umano.
I nuovi culti promettono felicità, pace, prosperità e vita eterna, mentre l’umanità moderna è malata di quello che si definisce FOMO (Fear Of Missing Out), cioè la paura di essere tagliati fuori. Abbiamo perso oltre all’olfatto e all’attenzione anche la capacità di sognare. Il datismo, la religione emergente più interessante, mette insieme gli algoritmi bioclinici con gli informatici. La politica degli inizi del XXI secolo, chiamata a vigilare e a indicare soluzioni possibili, è priva di grandi visioni. A questo punto si rendono necessarie nuove e più efficienti strutture. Resta da capire chi le realizzerà e controllerà. Al termine della missione il nuovo e più efficiente sistema, chiamato ‘Internet-di-Tutte-le-Cose’, rimpiazzerà Homo Sapiens, i cui algoritmi non sono attrezzati per gestire i flussi di dati del XXI secolo, sono obsoleti. Il ‘conosci te stesso’, la scritta che campeggiava sul pronao del tempio del Dio Apollo a Delfi, è ora alla portata di tutti. Saranno i potenti algoritmi a dirci chi sposare, quale carriera intraprendere e se dare inizio ad una guerra, sostituendo in questo modo la Pizia interrogata per conoscere l’oracolo del Dio.
Harari avverte: ‘Tutti gli scenari delineati in questo libro dovrebbero essere compresi come possibilità, piuttosto che come profezie… questo libro ha l’obiettivo di ampliare i nostri orizzonti per renderci consapevoli dell’esistenza di uno spettro di opzioni assai più vasto.’
Le domande finali nel libro rimandano alla lode del dubbio di brechtiana memoria. Così con l’autore ci chiediamo se gli organismi siano soltanto algoritmi e se la vita sia soltanto elaborazione dati; se sia possibile stabilire una gerarchia tra l’intelligenza e la consapevolezza e infine che cosa accadrebbe nel caso algoritmi non coscienti ma dotati di intelligenza dimostrino di conoscerci più di noi stessi. Domande inquietanti, eppure pressanti, più attuali di quanto si possa immaginare.
‘Homo Deus. Breve storia del futuro’, Giunti Editore S.p.A./Bompiani, Firenze-Milano, 2018, pp. 547, € 16,00.