“Fake news”, tradotto letteralmente “notizie false”, in senso più compiuto si potrebbe dire il classico false e tendenziose, è uno dei concetti contemporanei più presenti nell’agenda mediatica e politica.
Vediamo dunque di capire meglio di cosa si tratta, se ne esiste un solo tipo o ci sono varie versioni, come funzionano e si propagano.
La prima associazione mentale che molti probabilmente svolgono è quella “fake news = web”.
Indubbiamente il web è uno dei fattori determinati, ma non l’unico, che ha permesso la proliferazione di questo fenomeno, tanto da far parlare in maniera diffusa di epoca della post-verità.
La definizione “fake news” è ormai entrata nel linguaggio corrente ed è usata in diversi casi, fino ad essere diventata una accusa ricorrente rivolta contro ogni media e personaggio sospettato di non raccontare la verità.
In questa confusione di significati, diventa quindi importante distinguere tecnicamente fra le fake news pensate intenzionalmente come false dai loro autori, distribuite e sapientemente camuffate a scopo di guadagno – tipologia a mio parere originale – , i siti opachi costruiti a scopo politico ed economico ma non del tutto fraudolenti come i primi e infine gli scivoloni più o meno volontari dei media autorevoli e riconosciuti da tutti.
A questo proposito ho cercato di mettere un po’ di ordine nelle varie casistiche, definendo e analizzando in breve le caratteristiche secondo tre grandi tipologie:
- Tipo 1. Testate ingannevoli;
- Tipo 2. Siti opachi;
- Tipo 3. Media mainstream;
In questa prima puntata, tratteremo della prima tipologia:
Tipo 1. Testate ingannevoli. In inglese website spoofing.
Sono siti strutturati come se fossero testate di news esistenti di cui imitano o storpiano il nome.
Gli utenti più inesperti riguardo al mondo dell’informazione, vengono ingannati e li considerano come fonti attendibili.
In realtà, visitando i siti, non si trovano mai riferimenti a registrazioni di testate al tribunale e/o a persone con un nome e un cognome. Spesso sono presenti genericamente dei disclamer riguardo a un’attività di satira, come se si trattasse di una sorta di prima difesa legale contro accuse di diffusione di falsità.
Il principale canale dove vengono veicolati e condivisi i contenuti di questi siti sono i social media, in particolare Facebook, social network dove sono presenti utenti con una media socio-culturale più bassa, inclini a cascare nella trappola.
Il meccanismo della condivisione è fondamentale, in quanto l’anteprima dell’articolo generata automaticamente da Facebook mette in risalto il titolo e l’immagine di accompagnamento, lasciando in secondo piano la fonte che passa così inosservata agli occhi non allenati a riconoscere le bufale.
In questo modo, gli autori che stanno dietro questi siti, possono puntare al massimo sulla spettacolarità della falsa notizia e i bassi istinti degli utenti dei social, spingendo chi visualizza il post, frutto della condivisione di un altro utente, a cliccare sull’anteprima e a condividerlo egli stesso.
In Italia le testate di news online più attive sono siti come Ilfattoquotidaino.com, News24tg.com, Liberogiornale.com, la Gazzettadellasera.com ecc.
Come svelato qualche tempo fa dal famoso debunker Paolo Attivissimo sul suo blog “il Disinformatico”:
”Esaminando attentamente il codice pubblico delle loro pagine, come ha fatto David Puente nell’ambito di un’indagine ben più ampia, emerge infatti che questi siti usano una stessa fonte, e addirittura condividono lo stesso account da publisher, per i propri banner pubblicitari”.
Insomma, lo scopo è quello scontato di fare soldi grazie alla raccolta pubblicitaria data dei banner pubblicati sulle pagine degli articoli.
Non per niente una delle grosse critiche che vengono fatte a colossi del web come Facebook e a Google, è quella di non intervenire sufficientemente per contrastare questo fenomeno e, nel caso di Google, di guadagnarci direttamente essendo la concessionaria di pubblicità online più grande al mondo.
Facebook sta cercando di correre ai ripari con il “Progetto giornalismo Facebook” annunciato recentemente. Una sfida ardua, vista l’immensa mole di dati da gestire.
Anche Twitter non è esente dal fenomeno, tanto che ha recentemente dichiarato che cancellerà gli account riconosciuti come fraudolenti.
Nel caso delle testate di fake news italiane sopracitate, l’indagine di Attivissimo ha portato alla società Edinet con sede a Sofia in Bulgaria (nell’immagine i siti del network Edinet) che ha poi risposto dichiarandosi gestore del nework ma non dei contenuti in una intervista rilasciata a Repubblica.
Insomma, qualunque sia la natura di Edinet e il sistema messo in piedi per la gestione di tali siti, il fenomeno nella sua interezza appare essere una vera e propria fabbrica di polemiche e bugie a scopo di lucro con un indotto non indifferente, che gioca sul diritto di satira per pubblicare intenzionalmente falsità.
Dal punto di vista dei contenuti, gli articoli possono essere ricondotti a poche macrocategorie:
Dichiarazioni fasulle di politici e/o vip a contenuto populistico;
Clamorose ingiustizie compiute a beneficio di vip o personaggi politici;
Malattie/epidemie inesistenti con immagini ad effetto;
Profezie di imminenti catastrofi;
Clamorosi episodi di malagiustizia con al centro immigrati o rom;
È quindi più che lecito chiedersi se oltre al dimostrato scopo di lucro vi siano anche precisi interessi politici volti ad alimentare sentimenti razzisti, nazionalisti e populisti in generale.
Il fenomeno ha dimensioni enormi, contando che solo uno dei portali Liberogiornale.com ha, secondo i dati Similar Web, fino a 260.000 visite mensili.
Una galassia di siti dietro alla quale si stagliano ombre ben più grosse di stati esteri, in primis la Russia, accusata dalle autorità europee di avere messo in piedi un complicato sistema di siti di fake-news, che a quanto pare in Italia trova sponda nel mondo online legato al “Movimento Cinque Stelle”.
Ma di questo tratteremo meglio nella prossima puntata riguardante il Tipo 2. Di fake-news, ovvero i “Siti Opachi”.
Simone Guzzardi
Nato a Milano nel 1982, ha compiuto studi nell’ambito della comunicazione e non ha più smesso di occuparsene.
In oltre dieci anni di esperienza presso alcune delle principali agenzie presenti in Italia, ha avuto modo di operare per importanti aziende italiane e internazionali attive in particolare nei settori finanziario, bancario, assicurativo, ITC, food&beverage e manifatturiero.
A febbraio 2017 ha fondato, insieme a The Van, l’agenzia di comunicazione istituzionale L45, della quale è anche Amministratore Delegato.
Docente in Master Post Universitari e redattore per magazine online.
È appassionato di musica e vespista irriducibile in ogni stagione.